L’Europa sembra essere nel panico in seguito alla rielezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. A preoccupare è soprattutto l’economia, dal momento che già nel precedente mandato il tycoot ha fatto scelte di protezionismo spinto, imponendo dazi alle importazioni e ingaggiando vere e proprie guerre commerciali, ad esempio con la Cina.
Se le economie del Vecchio Continente continuano a zoppicare, l’applicazione di dazi sui prodotti europei esportati negli Usa potrebbe avere conseguenze negative.
Trump, tuttavia, non è l’unico ad aver fatto scelte in contrasto con il concetto di “libero mercato”. Pochi giorni prima delle elezioni americane, infatti, la Commissione europea ha dato il via libera all’imposizione di dazi sulle auto elettriche cinesi, più competitive tanto economicamente quanto tecnologicamente. Una misura a tutela di un settore, quello dell’automotive, che in Europa vive una crisi profonda, ma che comporterà una rappresaglia in termini di investimenti, come già Pechino ha annunciato.
«Possiamo dire che in qualche modo noi ci stiamo comportando nella stessa maniera in cui temiamo che si possa comportare Trump nei nostri confronti», osserva ai nostri microfoni Andrea Barolini, direttore di Valori.it
I dazi e il protezionismo sono solo un sintomo della fine del multilateralismo
Ciò che accade in economia, però, è solo un sintomo di una malattia ben più grave che va sotto il nome di “fine del multilateralismo” e che si manifesta in diversi ambiti, non solo quello economico.
«Il ritorno di Donald Trump negli Stati Uniti – afferma Barolini – potrebbe comportare un’ondata che già in parte è in atto di chiusura in se stesse delle nazioni. Il multilateralismo, che doveva essere la chiave di un mondo più pacifico dopo la Seconda Guerra Mondiale, è ciò che abbiamo costruito attraverso l’Onu, nonostante sia sempre stato in difficoltà a causa del rapporto con le singole nazioni. Adesso è in gravissima crisi».
Gli scenari in cui si manifesta la crisi del multilateralismo sono molteplici e riguardano però sfide dirimenti, che andrebbero affrontate in modo globale, attraverso la cooperazione e un’azione comune.
«Noi dovremmo ragionare sempre più nella direzione di un mondo multilaterale, mentre la follia è che stiamo andando esattamente nella direzione contraria e il risultato è che saremo condannati da tanti punti di vista», rimarca Barolini.
Il primo esempio è quello delle guerre. La fine del multilateralismo si manifesta nel continuo svilimento dell’Onu. «Il segretario generale Guterres continua a chiedere a Israele, agli Stati Uniti e ai Paesi occidentali di premere affinché si possa trovare una soluzione, un cessate il fuoco a Gaza, invece vediamo che la guerra si allarga al Libano e chissà se un domani si allargherà altrove», sottolinea il direttore di Valori.it
Un secondo esempio è quello della crisi climatica. Nel programma di Trump c’è lo stralcio di tutti gli impegni a contrasto dei cambiamenti climatici e, in una situazione del genere, la Cop 29 che partirà fra pochi giorni a Baku già si preannuncia come un fallimento.
«In questo contesto – rimarca Barolini – la Cina potrebbe dire: “Beh, se gli Stati Uniti non fanno abbastanza sul clima, impongono dazi sulle nostre produzioni, si chiudono in se stessi, anche noi ci chiudiamo in noi stessi e non facciamo abbastanza sul clima, perché altrimenti la concorrenza è sleale”».
I sintomi di quello che si sta manifestando oggi, in un mondo sempre più di tutti contro tutti, in realtà erano già comparsi ai tempi della pandemia, una sfida che doveva essere condotta a livello globale, mentre alcuni Paesi hanno fatto pesare la propria forza economica per garantirsi i vaccini. «Anche l’industria farmaceutica sarebbe dovuta essere indirizzata di comune accordo tra gli Stati per impedire che alcune nazioni si ritrovassero sprovviste anche della prima dose, mentre noi nel mondo ricco e occidentale ci trovavamo già alla terza».
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