In un’edizione dalle premesse non certo favorevoli, cioè lo svolgimento per il secondo anno consecutivo della conferenza in un Paese petrolifero e l’incognita dell’arrivo di Trump che ha già annunciato la fuoriuscita degli Usa dagli accordi di Parigi, la Cop29 in corso a Baku, in Azerbaigian, prova a sfatare le scommesse sul suo fallimento con due accordi raggiunti nelle prime giornate del vertice.
Da un lato, infatti, è stato trovato un accordo per la regolamentazione del mercato sui crediti di carbonio, dall’altro l’accordo sul fondo “loss and damage” per i ristori delle perdite e dei danni della crisi climatica nei Paesi vulnerabili, che entrerà in vigore dal prossimo gennaio, anche se l’incognita restano i versamenti.
Cop29, l’accordo sulla regolamentazione del mercato dei crediti di carbonio
Nelle dichiarazioni ufficiali viene considerato importante l’accordo raggiunto a Cop 29 sugli standard per la creazione di crediti di carbonio. Una misura già prevista dall’articolo 6.4 dell’accordo di Parigi che finora era rimasta senza attuazione. Nello specifico viene adottata una regolamentazione omogenea sui mercati globali del carbonio, uno strumento che permette di canalizzare maggiori investimenti verso i Paesi in via di sviluppo, concentrando gli sforzi di mitigazione dove i costi sono più bassi.
In particolare, un credito di carbonio equivale a una tonnellata di CO2e ridotta, evitata o sequestrata dall’atmosfera. I crediti di carbonio vengono generati attraverso la realizzazione di progetti che hanno come obiettivo l’abbattimento, la riduzione o il sequestro dell’anidride carbonica e dei gas a effetto serra. La regolamentazione farà sì che le riduzioni e gli assorbimenti delle emissioni siano reali, aggiuntivi, verificati e misurabili.
Il giornalista Lorenzo Tecleme suggerisce una lettura meno ottimistica su questo strumento. «Quella dei crediti di carbonio è una furba operazione, in questo momento più di marketing che di altro – sottolinea il giornalista – È un’idea vecchia di vent’anni, che non ha mai funzionato perché le emissioni hanno continuato ad aumentare, è figlia degli anni ’90 quando si credeva che il mercato e la finanza potessero risolvere tutto e non si contano gli scandali per crediti rivenduti due volte».
Nella sostanza, chi ha risorse economiche a disposizione potrebbe rinunciare a compiere la transizione ecologica acquistando crediti. Secondo i promotori di questo strumento il costo dei crediti sarebbe superiore a quello della transizione, ma le evidenze fino a qui non provano il suo funzionamento.
L’operatività del fondo “Loss and damage”, con l’incognita dei versamenti
Un altro piccolo risultato riguarda il Fondo “Loss and damage”. A Cop29 sono stati firmati i documenti per rendere operativo il fondo per aiutare i paesi più vulnerabili a partire dal gennaio 2025. In altre parole, già dal prossimo gennaio i Paesi più poveri che più di tutti subiscono l’impatto della crisi climatica con perdite e danni potranno avere accesso a ristori economici.
Anche questa misura è in discussione da diverse edizioni della conferenza Onu sul clima e, nonostante la firma raggiunta a Baku, le incognite restano sull’effettivo versamento di risorse nel fondo da parte dei Paesi ricchi.
«Questo invece è uno strumento nuovo e abbastanza interessante – osserva Tecleme – perché trasforma i Paesi debitori, quelli che da sempre devono ripagare i debiti con l’FMI, in creditori che vanno dai Paesi ricchi a dire: questi danni dovuti alla crisi climatica li hanno provocati le vostre emissioni, quindi dovete pagarceli voi». Una delle ulteriori incognite riguarda chi gestirà il fondo. «Per adesso si è detto la Banca Mondiale, ma i Paesi del sud del mondo vorrebbero qualcun’altro», sottolinea Tecleme.
Più in generale, da questa Cop29 non dobbiamo aspettarci nulla sulla mitigazione, cioè sulla riduzione delle emissioni, ma forse qualcosa potrebbe uscire per ciò che riguarda l’adattamento alla crisi climatica.
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