La Repubblica Democratica del Congo è scenario di uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi della storia africana e la riapertura degli scontri militari, avvenuta a febbraio da parte del gruppo armato M23, è solo l’ultimo anello di una catena che lega al presente eventi accaduti più di un secolo fa. Proprio per questo è impensabile comprendere la situazione attuale e gli attori coinvolti senza fare un passo indietro e ripercorrere gli avvenimenti che portano il Congo alla potenziale guerra su vasta scala che lo vede coinvolto. Fondamentale sarà la relazione con il Belgio e più in generale con l’occidente coloniale, ma ancora di più sarà il rapporto stretto sviluppato con un altro stato africano esistenzialmente scisso, il Rwanda, a portare la RDC alla situazione di instabilità umanitaria e militare in cui si trova oggi.

Re Leopoldo II, costruttore sanguinario

In Belgio la reggenza di Leopoldo II fu percepita come un’epoca d’oro in cui a spiccare era lo sfarzo dei numerosi monumenti commissionati dal sovrano grazie alle strabordanti casse statali. Tale straordinaria prosperità si basava sull’acquisizione privata da parte del sovrano dell’intero territorio congolese, denominato “Stato Libero del Congo”, dopo il Congresso di Berlino del 1885 in cui vari stati occidentali si spartirono il dominio dell’Africa. Per permettere al re di conseguire l’obiettivo di rendere la nazione florida e appariscente, bisognava rendere i possedimenti coloniali e i popoli che li abitavano il più produttivi possibile: re Leopoldo e il suo esercito privato, la Force Publique, costruirono un regime di sfruttamento e terrore per costringere le popolazioni locali a produrre gomma di caucciù in massa; tale materiale funse da precursore della plastica e per questo era molto richiesto sul mercato internazionale, facendo la fortuna della corona belga. Per costringere milioni di persone in condizione di schiavitù a produrre al massimo delle loro possibilità, gli agenti al servizio del re mutilavano chiunque non raggiungesse la quota di raccolto giornaliera tagliando una mano o un piede, alle donne anche una mammella. Contro ribelli e facinorosi si optava per spedizioni punitive e la distruzione di interi villaggi e di campi coltivati, portando inevitabilmente a carestie che favorirono il diffondersi di epidemie. Si stima che nei 23 anni di dominio privato del re morirono 10 milioni di persone, per la violenza compiuta dal regime o per le epidemie e la fame, in quello che viene definito come un vero e proprio genocidio, oscurato dagli esiti positivi per l’economia occidentale.

Rwanda, un genocidio annunciato

Nel 1908 il re vende il Congo al parlamento rendendolo formalmente una colonia belga fino al 1960, anno dell’indipendenza. Dopo la sconfitta dell’impero tedesco nel 1919, il Belgio acquisì anche i territori del Burundi e del Rwanda; in particolare su quest’ultimo l’influenza dei coloni sarà devastante e porrà le basi per un contesto sociale radicalmente frazionato. Le popolazioni che abitavano il territorio rwandese in periodo precoloniale vengono divise in tre gruppi principali: i Twa, una minoranza autoctona, i Tutsi, pastori del corno d’Africa, e gli Hutu, agricoltori bantu che costituivano la maggior parte della popolazione. L’amministrazione belga attuò tale separazione solo per avere maggior controllo e ordinare i rapporti con la popolazione, ma nei fatti le differenze erano astratte: tutti in Rwanda parlavano la stessa lingua e veneravano lo stesso sovrano. Vennero istituite categorie sociali apposite grazie anche all’utilizzo di carte d’identità basate su parametri arbitrari, per esempio il numero di mucche possedute e l’altezza. Chi veniva identificato nell’etnia Tutsi erano solitamente i più benestanti, i quali vennero scelti come interlocutori privilegiati per favorire gli interessi europei e ritrovandosi a costituire una classe avvantaggiata sopra una moltitudine di Hutu subordinati. Il risentimento generato da questa separazione si mantenne intatto anche durante e dopo l’indipendenza del 1960, portando alla luce una pulsione nazionalista anti-Tutsi che sfocerà nel conseguente e ulteriore genocidio. Il casus belli sarà l’assassinio del presidente rwandese Habyarimana avvenuto nell’aprile del 1994; mosse da tale avvenimento, le forze nazionaliste Hutu perpetrarono un’orrida carneficina sulla popolazione civile Tutsi compiendo stupri di massa, omicidi e mutilazioni. La comunità internazionale stette a guardare, nessuno si mosse per arginare tale eccidio e fu necessario che il Fronte Patriottico Rwandese, capitanato da Paul Kagame, l’attuale presidente, e costituito da militanti Tutsi, marciasse sul paese per fermare le atrocità. Si stima che dopo soltanto 100 giorni dall’inizio del genocidio risultassero tra le 8oo mila e il milione di vittime.

Verso le guerre del Congo

La presa di potere di Kagame portò gli estremisti Hutu a rifugiarsi proprio nel territorio congolese. Il governo rwandese, per evitare ripercussioni sfavorevoli dovute alla loro ideologia, invase il Congo con l’obiettivo di annientare i gruppi ribelli. Ciò porterà allo scatenarsi della Prima Guerra del Congo (1996-1997) a cui si uniranno anche Uganda e Burundi andando a formare la coalizione AFDL e che terminerà con la deposizione del presidente Mobutu in carica da più di trent’anni e l’instaurazione di un nuovo governo guidato da Laurent Desiré Kabila. Su quest’ultimo gravavano le speranze dei congolesi e della comunità internazionale per risollevare le sorti del paese, ma il suo tentativo risultò fallimentare e portò la RDC a precipitare nella Seconda Guerra del Congo (1998-2003), detta anche Guerra Mondiale Africana per il coinvolgimento continentale. Le dinamiche con cui si svolse il conflitto ricalcano molto quelle attuali; infatti, la guerra si combatté primariamente nella regione del Kivu e vide contrapporsi gruppi armati non direttamente comandati dagli attori in campo, ma finanziati e sostenuti militarmente. Al termine delle ostilità si stabilì un trattato di pace che includeva elezioni democratiche e l’integrazione dei gruppi autonomi all’interno dell’apparato militare. Nonostante questi tentativi formali, le forze armate rimasero frammentate e ciò favorì il proliferare di gruppi ribelli soprattutto nell’est, i cui territori rimasero profondamente instabili. Il Congo orientale divenne una polveriera in cui basta molto poco a riesumare le ostilità e, ad oggi, la regione è tornata ad accendersi a discapito in primis della popolazione civile.

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Mattia Paratore