L’allarme siccità delle settimane scorse è (per il momento) rientrato, ma l’approvigionamento idrico è un tema su cui occorre riflettere, pianificare e investire in epoca di cambiamenti climatici. Le piogge hanno cambiato la tempistica stagionale e l’intensità. Ne abbiamo parlato con Giovanni Tamburini, presidente del Consorzio della Bonifica Renana.
Allarme siccità rientrato: ma il problema persiste
Il fiume Po a marzo e aprile ha fatto registrare livelli bassi che solitamente si registrano a luglio e agosto. Il fiume Reno è esondato (alluvionando Castel Maggiore e Argelato) a febbraio, ma a fine marzo era in secca. Gli agricoltori hanno chiesto di aprire i canali di irrigazione con un mese e mezzo di anticipo.
Questo è, in estrema sintesi, ciò che è stato registrato nel solo territorio bolognese negli ultimi tre mesi in tema idrico.
Anomalie che riguardano l’acqua, il suo approvigionamento e le precipitazioni atmosferiche, con cui dovremo sempre più fare i conti e adattarci. Ne è convinto Giovanni Tamburini, presidente del Consorzio della Bonifica Renana, che abbiamo ospitato nella rubrica “Monday for Future” all’interno di Radical Pop su Radio Città Fujiko.
Il colpevole numero uno degli squilibri idrici è, ancora una volta, il cambiamento climatico, che ha modificato la tempistica e l’intensità delle piogge.
“Se su base annua le precipitazioni sono più o meno le stesse – osserva Tamburini – ciò che è cambiato è la tempistica”.
In altre parole, dovremo dimenticarci o abituarci a cambiare la convinzione che i corsi d’acqua del nostro territorio registrino puntualmente piene in inverno e secche d’estate. Oggi può accadere che l’assenza di precipitazioni e un caldo anomalo invernale porti fiumi e torrenti a bassi livelli durante i mesi tradizionalmente più freddi, mentre le piene si possano registrare in periodi che un tempo erano di magra.
Ciò non è senza conseguenze, specialmente per l’agricoltura. I cicli vitali delle piante e i loro bisogni idrici non cambiamo come cambiano le precipitazioni e ciò induce chi si occupa di questi temi, come il Consorzio della Bonifica Renana appunto, a fare sforzi tecnici e organizzativi.
Per questo, Tamburini suggerisce che occorre che tutti i soggetti interessati, quello che rappresenta, insieme ad Hera, Enel ed Enti Locali, si mettano attorno ad un tavolo e studino come affrontare il problema. Progettando e investendo in interventi.
Qualcosa, a dire il vero, negli ultimi anni è stato fatto. A monte di Casalecchio, in prossimità del Reno, ad esempio, è stato creato un invaso che, agli occhi dei meno esperti, sembra un laghetto artificiale. Alla fine dell’estate, quando le altre risorse idriche sono terminate, quell’acqua viene rilasciata per alimentare tutto il sistema.
La stessa Bonifica Renana ha messo a punto un sistema che aiuta le circa 1200 aziende agricole del territorio a sapere – in base a report sulle temperature, sulle precipitazioni ed altri fattori – di quanta acqua abbiano effettivamente bisogno le piante. Ciò porta a ridurre gli sprechi e, unito ad un sistema di tariffazione che agevola chi consuma meno e penalizza chi consuma di più, permette di preservare il più possibile la risorsa idrica.
“Quello che c’è ancora da fare – osserva Tamburini – sono una serie di investimenti complessivi, che devono portare a risparmiare più acqua possibile lungo il nostro territorio, raccogliendo l’acqua nelle stagioni piovose, stoccandola e conservandola per poterla utilizzare nelle stagioni più siccitose“.
A questo proposito, la Bonifica Renana ha proposto di utilizzare le ex cave lungo il bacino del Reno come invasi per raccogliere l’acqua e, mettendoli in rete, rappresentare una riserva per periodi critici e siccitosi.
ASCOLTA L’INTERVISTA A GIOVANNI TAMBURINI: