50 eventi e 14 associazioni (non solo lgbt) danno vita al Bologna Pride, la parata dell’orgoglio lgbt che sfilerà sotto le Due Torri il 27 giugno, con un’alleanza con i famigliari della strage di Ustica. Nasce una “coalizione” per i diritti che indica agli Enti Locali un percorso. Intanto in Parlamento la legge sulle unioni civili supera la verifica di costituzionalità e il Pd vorrebbe approvarla entro l’estate. Ma la comunità lgbt è scettica.

Quest’anno saranno 14 le associazioni che daranno vita al Bologna Pride, la parata dell’orgoglio lgbt che si terrà nella nostra città il 27 giugno.
Non si tratta però di un appuntamento singolo. Il gay pride bolognese, infatti, sarà anticipato da un cartellone di 50 eventi, realizzati in collaborazione con alcune realtà cittadine.
La data del pride, del resto, è significativa. Il 27 giugno, infatti, ricorrono i 35 anni dalla strage di Ustica. Ciò ha convinto la comunità lgbt ad intraprendere un percorso comune con l’associazione dei famigliari delle vittime, la cui presidente Daria Bonfietti interverrà al Cassero il prossimo 19 maggio.

Nel frattempo, gli organizzatori hanno predisposto un documento politico rivolto agli enti locali e attraverso il quale si vuole tracciare la via per rendere Bologna la “città dei diritti” da molti e molte auspicata.
Per la prima volta, infatti, a prendere parte attiva nell’organizzazione del pride non ci sono solo associazioni lgbt, ma anche altre realtà, come Uaar e Associazione Orlando, che in questo modo danno vita ad una sorta di “coalizione per i diritti“.
“Ci siamo seduti attorno ad un tavolo – racconta Vincenzo Branà, presidente del Cassero – e abbiamo pensato ad un percorso per far diventare davvero Bologna la città dei diritti. Nel documento affrontiamo molti settori, dalla laicità, alla salute, al welfare, allo sport, fino alla scuola e al lavoro, e punta ad obiettivi precisi”.

Le associazioni, dunque, suggeriscono ad Enti Locali come Comune e Regione alcuni provvedimenti concreti. Dalla salvaguardia della convenzione dell’Ausl e della Regione con il Mit, il Movimento di Identità Transessuale che gestisce consultori sempre più a rischio, all’obiezione di coscienza che sta mettendo a rischio la piena applicazione della legge 194, fino a percorsi di diversity managing da sperimentare negli enti pubblici, consentendo diritti sulla scia di quanto fanno già oggi alcuni soggetti privati.

Per ciò che riguarda l’iter della legge sulle unioni civili, invece, il Cassero è scettico. Se da un lato il ddl Cirinnà ha superato la verifica della costituzionalità e proprio ieri il Pd ha affermato di voler arrivare ad un primo voto entro l’estate, gli ostacoli posti dai 3mila emendamenti dell’altra forza di governo, l’Ncd, e da un parte dei democratici stessi pongono dubbi alle associazioni lgbt.
“C’è anche un problema di prospettiva – osserva Branà – Quella legge è incompleta e tratta il tema della genitorialità come un privilegio. Ad esempio, la possibilità di adottare il figlio del partner fa sì che, al momento, a quel diritto possa accedere solo chi ha le risorse per tecniche di procreazione assistita costose e non consentite in Italia”.
Secondo il presidente del Cassero, dunque, c’è da capire se questa legge è solo un primo passo o è il massimo consentito.