Mentre in diverse regioni, come Umbria, Marche ma anche Lombardia, l’accesso all’aborto farmacologico viene ostacolato e messo in discussione delle Amministrazioni leghiste, a Bologna il circolo Uaar (Unione Atei e Agnostici Razionalisti) lancia una campagna per difendere la conquista.
Si chiama proprio “Aborto farmacologico, una conquista da difendere” l’iniziativa che prevede affissioni sui cartelloni stradali e che vede come testimonial Alice Merlo, una giovane donna che nei mesi scorsi ha raccontato la propria esperienza denunciando che i «maggiori problemi legati all’ivg sono le dinamiche colpevolizzanti, la riprovazione sociale per aver fatto quella scelta, l’imposizione del senso di colpa e del dolore».

Aborto farmacologico, gli ostacoli alla Ru486

L’accesso all’aborto farmacologico attraverso la pillola Ru486 negli ultimi mesi ha registrato numerosi ostacoli in diverse zone d’Italia. Il problema principale, che ad esempio si manifesta anche per la pandemia, sta nel fatto che la competenza sanitaria è in capo alle Regioni. Alcune di quelle a maggioranza leghista, negli ultimi mesi, hanno tentato in diversi modi di boicottare le linee guida del Ministero della Salute, in particolare opponendosi alla possibilità che la somministrazione della pillola abortiva potesse avvenire in day hospital o nei consultori e lasciando come unica possibilità quella del ricovero ospedaliero.

Anche in Emilia-Romagna la Lega ha tentato un’operazione del genere. In particolare, nel febbraio scorso in Assemblea Legislativa il partito di Salvini ha cercato di porre i vincoli che sta ponendo laddove governa. La maggioranza regionale, insieme al supporto del M5S, però, ha bocciato la proposta.
Il nostro territorio, però, non è esente da problemi e a denunciarlo è proprio Uaar. «A volte siamo illusi che qui le cose funzionino meglio perché Bologna è stata un passo avanti sui diritti civili e sociali rispetto ad altre parti d’Italia – afferma il coordinatore bolognese dell’associazione, Andrea Ruggeri – Anche se è difficile fare un conto o reperire informazioni, esistono sacche di resistenza reazionaria anche nelle strutture ospedaliere o in alcuni punti farmaceutici. Per non parlare poi della provincia, con tutte le difficoltà delle piccole comunità».

L’associazione ricorda inoltre che, più in generale, il tema dell’aborto continua a scontare le obiezioni di coscienza, la concessione di spazio a gruppi antiabortisti nei consultori e le intrusioni clericali e reazionarie nel sistema sanitario, che sono un ostacolo all’accesso libero alla Ru486, così come a tante altre prestazioni. Eppure, in epoca di pandemia e con gli ospedali pieni di persone affetta da Covid-19, la soluzione dell’aborto farmacologico si rivelerebbe la più sicura per le donne, sottraendole al rischio di contagio.

La campagna Uaar

Dopo essere partita nel Lazio e in altre regioni, da ieri e per quindici giorni la campagna Uaar sull’aborto farmacologico ha preso il via anche a Bologna, Casalecchio di Reno e Imola. I manifesti pubblicitari campeggiano in via Caravaggio tra Bologna e Casalecchio, in via 63° Brigata Bolero a Casalecchio e in via Graziadei a Imola, con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica in materia di aborto farmacologico.
«A Bologna abbiamo tentato di affiggere i manifesti anche all’ingresso dell’ospedale Maggiore – racconta Ruggeri – ma l’Ausl non ha preso in esame la richiesta: manca da lunghissimo tempo l’affidamento a una società esterna della gestione della raccolta pubblicitaria e l’Ausl rinuncia a gestirla in maniera diretta. Comprendiamo il momento di difficoltà della sanità pubblica, ma proprio per questo il disservizio comporta non solo un mancato incasso per l’Ausl, ma anche un ostacolo a veicolare corretta informazione sui diritti delle donne per l’aborto farmacologico».

La testimonial della campagna, Alice Merlo, raccontò in un post su Facebook la propria esperienza e le sue parole vengono riprese sui cartelloni dell’Uaar: «Ho scelto di interrompere volontariamente una gravidanza con la terapia farmacologica. L’ho potuto fare in tutta sicurezza. La Ru486 evita il ricovero ospedaliero e l’intervento chirurgico: una scoperta scientifica meravigliosa per la salute delle donne». Per contro, i maggiori problemi legati all’interruzione volontaria di gravidanza rimangono le dinamiche colpevolizzanti, la riprovazione sociale per aver fatto quella scelta e l’imposizione del senso di colpa e del dolore. Tutte cose che con la medicina e la salute della donna non hanno nulla a che fare.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ANDREA RUGGERI: