A Trump nelle ultime 24 ore sono andata male un sacco di cose. Alcune erano attese, come il suo ex avvocato Michael Cohen che lo ha accusato di alcune cose molto gravi davanti al Congresso. Altre, come il brusco finale del summit con Kim Jong-un, sono arrivate un po’ a sorpresa. Ne abbiamo parlato con Francesco Costa e con il ricercatore Alessandro Albana.

48 ore da incubo per Donald Trump

Non devono essere ore tranquille quelle del presidente statunitense, a cui nelle ultime 24 ore le cose sono andate molto male su due continenti. Da una parte, il suo ex avvocato Michael Cohen lo ha accusato davanti al Congresso di alcune cose molto gravi, tra cui del fatto di essere a conoscenza dei piani di hackeraggio delle e-mail dei Democratici nella campagna elettorale del 2016. Cohen ha anche etichettato il presidente come “razzista” e “truffatore”, confessando il suo rimorso per avere collaborato a lungo con lui.

“Michael Cohen –spiega il giornalista Francesco Costa – ha reso questa deposizione al Congresso sotto giuramento non perché fosse parte del suo accordo con i procuratori ma a titolo volontario, non gli darà nessuno sconto di pena. Quindi la sua deposizione è considerata non dico affidabile, perché parliamo comunque di una persona che ha mentito più e più volte ma sicuramente interessante e rilevante. Resa ancora più rilevante dal fatto che Cohen ha presentato dei documenti a sostegno delle sue accuse oggi al Presidente Trump. Cohen ha mostrato gli assegni che gli ha versato Donald Trump anche dopo l’insediamento alla casa Bianca per rimborsargli dei soldi che Cohen spese a nome sua per evitare che potessero traccati verso Trump per pagare una nota attrice di film porno con cui Trump aveva una relazione allo scopo che lei non diffondesse nessuna notizia”. Ma soprattutto Cohen ha detto che “Trump era a conoscenza dei colloqui e dei contatti fra il suo comitato elettorale e wikileaks che stava orchestrando la diffusione dei materiali sottratti al Partito democratico. Tutte queste cose sono rilevanti da un punto di vista pubblico ma sono rilevanti anche da un punto di vista giudiziario perché lo stesso Congresso può avviare delle sue indagini, delle indagini parlamentari, cosa che farà molto probabilmente nei prossimi mesi”.

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Ma la vera sconfitta per Trump è stata quella subita ad Hanoi, in Vietnam, sul terreno delle relazioni internazionali. Il secondo summit con Kim Jong-un, che aveva dato vita ad altissime aspettative, si è concluso con un nulla di fatto decisamente brusco. Questa mattina infatti (alle 7 italiane, le 13 in Vietnam) i negoziati si sono interrotti bruscamente, lasciando ad una fotografia della sala vuota dove si sarebbe dovuto tenere il pranzo tra i due leader il commento della giornata.

“Il summit è andato senza ombra di dubbio male – spiega il dottorando dell’Unibo Alessandro Albana – per lo meno dal punto di vista di chi si aspettava un accordo di qualche tipo e un qualche sviluppo pratico nelle relazioni tra i due paesi. Inquadrato come un processo storico e politico, naturalmente lo sviluppo di un dialogo tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti ha fatto sentire la propria influenza nel quadrante dell’Asia Nord-Orientale, nel senso che indubbiamente va riconosciuto che l’area è stata interessata da una fase di stabilità. Dal punto di vista dei due leader Trump ne esce, credo, fortemente indebolito. Soprattutto alla luce delle grosse aspettative nutrite proprio dalla propaganda agita dalla Casa Bianca. Dall’altro lato Kim credo che non abbia fatto niente di diverso rispetto a quello che ci si aspettava secondo un’analisi un po’ più approfondita, ovvero non abbandonare il programma nucleare in toto solo alla luce di un embrionale avvicinamento e apertura di un canale di comunicazione con gli Stati Uniti”.

La ragione del brusco finale del summit sarebbe stata, stando alle parole del presidente americano riportate dal Corriere, che “Kim ha una visione sulla denuclearizzazione che non è la nostra, ci vorrà tempo, comunque noi sappiamo tutto sulla Nord Corea, e sappiamo bene quello che vogliamo”. Trump ha poi dichiarato che avrebbe “potuto fare un “deal” oggi, ma non sarebbe stato buono, qualche volta ti devi alzare dal tavolo e andartene” lasciando intendere che il brusco finale fosse avvenuto a causa sua.

Ma il problema fondamentale, secondo Albana, è stato che “Trump essenzialmente non ha presentato un piano B rispetto a quello che poteva essere quello che poi si è verificato, ovvero l’indisponibilità del leader Nordcoreano di abbandonare completamente il programma nucleare in virtù di un completo abbandono del regime sanzionatorio da parte degli Usa. Il piano B non c’è stato, Kim come alcuni di noi si aspettavano, non è stato disposto ad abbandonare totalmente il programma di sviluppo nucleare, e quindi sostanzialmente ci troviamo di fronte se vogliamo a un pareggio tra i due protagonisti di questo processo, ma a uscirne fortemente indebolito è sicuramente il presidente Trump. Anche in virtù del fatto che le elezioni presidenziali si avvicinano, insomma anche questo potrebbe giocare a sfavore del presidente”.

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