Lo scorso 27 Luglio, Donald Trump ha mediato un accordo tra la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda. Per quanto la tregua che ne è seguita sia risultata fallimentare, il presidente degli Stati Uniti ha riproposto la propria firma diplomatica già applicata in altri contesti, cioè quella di rendere lo spazio di conflitto uno spazio di investimento. Quella proposta da Trump è una “partnership strategica” che permetterebbe agli Stati Uniti di assicurarsi il rifornimento di terre rare in cambio di garanzie e sicurezza. Tale accordo nasconde la volontà di orchestrare una pace vuota in cui venga riconfermato lo status quo e la subalternità economica della Repubblica Democratica, la quale rimane vittima della sua più grande ricchezza: l’enorme disponibilità di minerali utili agli interessi dei paesi leader.
Il Rwanda e le sue ombre
Lo straordinario boom economico che ha conosciuto il Rwanda negli ultimi decenni lo ha reso una lussuosa meta turistica e un paese al passo nel campo dell’ecologia. Questa crescita è stata alimentata dagli investimenti dei paesi europei, i quali hanno visto nel Rwanda una nazione moderna con cui ricostruire un dialogo che potesse emanciparsi dalla narrazione coloniale nei rapporti col continente africano. Infatti, nel secolo scorso, a seguito del periodo di decolonizzazione, il vuoto lasciato dagli stati coloniali europei è stato sfruttato da altri agenti, principalmente Cina e Russia, le quali hanno istituito accordi che permettevano lo scambio di risorse naturali e appoggio politico per lo sviluppo di infrastrutture e il supporto militare. L’Europa per rimanere competitiva nel mercato globale ha inventato nuovi modi per subordinare il continente africano evitando di ricorrere a un linguaggio neocolonialista, esempio di ciò è il pacchetto Global Gateway. Sulla carta, questo pacchetto dovrebbe aprire l’Unione Europea allo sviluppo della tecnologia, dei trasporti e dell’energia rinnovabile instaurando connessioni sane con partner esteri; nei fatti, spesso gli accordi servono a sfruttare le risorse naturali di un paese senza curarsi della sua condizione socioeconomica e politica, come nel caso della Repubblica Democratica. Parte del Global Gateway sono 150 miliardi di euro da investire per la cooperazione con gli stati africani, col Rwanda venne istituito un Memorandum of Understanding nel febbraio 2024 mediante il quale fu stretto un patto di approvvigionamento per le terre rare senza che Bruxelles tenesse in conto le acque torbide in cui il governo di Kigali si muoveva.
Il Rwanda, pur apparendo uno tra gli stati più liberali e avanzati del continente africano, è in realtà una solida autocrazia retta da Paul Kagame che da decenni opprime con forza qualsiasi forma di opposizione. La prosperità del paese si fonda sulla continua destabilizzazione delle regioni prossime della RDC, giustificata secondo motivazione etnica di facciata. In verità il Rwanda fonda la propria prosperità sull’ampliamento del territorio statale mediante la conquista indiretta di essi da parte di M23.
La maledizione delle terre rare
Quella che sta avvenendo nel Kivu è in primis una guerra economica, il cui obiettivo è espropriare la Repubblica dei suoi territori ricchi di minerali. Tutti gli stati confinanti vorrebbero usufruire di questa ricchezza che influisce notevolmente sull’economia estrattiva globale; il conflitto ancora in corso è il tentativo portato avanti da Kigali di appropriarsene, tentativo che non conosce tregue. I report delle Nazioni Unite confermano l’esportazione da parte del Movimento del 23 Marzo di 120 tonnellate di coltan al mese verso il Rwanda rendendo, a sua volta, il Rwanda uno dei maggiori esportatori sul panorama mondiale. In questa cornice si inscrivono gli accordi del Memorandum of Understanding, i quali permettono l’esportazione verso l’Europa di terre rare come coltan, oro e tungsteno, anche se sul territorio ruandese questi minerali sono pressoché inesistenti. Queste cosiddette terre rare, o “materie prime critiche”, sono un elemento chiave dell’economia globale, poiché permettono lo sviluppo di numerose tecnologie fondamentali per la transizione ecologica (batterie elettriche e pannelli solari) e per i dispostivi digitali come smartphone e computer. Tali materiali sono fondamentali per il tenore di vita che stiamo conducendo, con tutti i suoi agi; per questo motivo risulta così difficile aprire un dibattito nel contesto europeo, in cui si preferisce tacere sminuendo una guerra su cui si costruisce la narrazione e i progetti utopici delle multinazionali tech. Dopo numerose mediazioni, il Memorandum è stato soltanto sospeso in attesa di periodi più propizi alla sua applicazione, manifestando la speranza attiva che possa tornare una stabilità tale da permettere l’estrazione indisturbata dei minerali. Poco importa del contesto politico in cui ciò avvenga, se sotto le angherie di una milizia irregolare e lo sfruttamento di un paese terzo. L’Unione Europea rimane sorda di fronte alle continue tragedie che colpiscono la popolazione congolese, l’ultima accaduta soltanto due settimane fa: in una miniera nell’est della RDC una frana ha travolto e ucciso centinaia di persone nell’indifferenza totale; in quella miniera veniva estratto il cobalto, fondamentale per la costruzione delle batterie che ci permettono di guidare le nostre macchine elettriche. Questi fatti dovrebbero rendere evidente il sistema su cui si fonda la rivoluzione tecnologica occidentale e i suoi costi che pesano enormemente sul rispetto dei diritti e della vita umana.
Mattia Paratore






