A quasi due anni dallo scoppio della pandemia, il Covid rallenta nuovamente le altre prestazioni sanitarie, con operazioni ed interventi posticipati e visite ed esami prenotabili a lunga distanza di tempo. Problemi che, oltre che sulla cura di patologie di rilievo, hanno un impatto anche sulla prevenzione stessa, con il rischio di creare una spirale che ci trascineremo nel tempo.
Solo nel nostro territorio sono diversi gli esempi e gli allarmi in materia. Da un lato ieri l’Ugl ha denunciato la riduzione o la sospensione del 50-60% della chirurgia programmata negli ospedali della nostra regione, dall’altro alcuni ascoltatori ci segnalano la difficoltà di accesso all’ambulatorio MTS del Policlinico Sant’Orsola per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.

Prestazioni sanitarie posticipate causa Covid: «servono misure urgenti»

Nel primo anno della pandemia il numero delle prestazioni sanitarie non connesse al Covid era risultato impressionante. Nell’ottobre 2020 era stato conteggiato che ammontava a 18 milioni il numero di prestazioni sanitarie rinviate a livello nazionale. Un anno dopo, ad ottobre 2021, le cose andavano leggermente meglio ma non di certo bene: il calcolo di CittadinanzAttiva parlava di 13 milioni di visite specialistiche sospese, 300mila ricoveri non effettuati, 500mila interventi chirurgici rimandati e ben 4 milioni di screening oncologici posticipati.
Ancora più nel dettaglio, giusto ieri sono stati diffusi i dati del rapporto “Mi sta a cuore” sulle patologie cardiovascolari, che segna circa il 50% di rinvii.

Se nel 2020 la pandemia ha preso tutti alla sprovvista, a quasi due anni dall’inizio dell’emergenza la sanità pubblica non sembra essersi attrezzata per affrontare il problema in modo strutturale. Tra un’ondata e l’altra ospedali ed ambulatori hanno fatto i salti mortali per smaltire le liste d’attesa, ma l’arrivo della quarta ondata ha nuovamente inceppato il sistema.
«Non si può attendere oltre per prendere provvedimenti urgenti, servono ospedali Covid per liberare le strutture ordinarie, serve ripensare un’organizzazione territoriale che oggi mostra la corda, anche in Emilia-Romagna», sostiene Tullia Bevilacqua, segretaria regionale di Ugl.

Secondo il sindacato, «con la riduzione o la sospensione del 50-60% della chirurgia programmata negli ospedali della nostra regione si corre il rischio che pazienti poli-patologici si vedano aggravare il proprio stato di salute».
I problemi maggiori sono vissuti dai malati oncologici, cardiologici ed ematologici, ma ci sono anche persone affette da patologie meno gravi e non per questo con meno diritti di essere curati.
«Sono trascorsi due anni dall’esplosione della pandemia – sottolinea Bevilacqua – e dobbiamo prendere atto che non sono state individuate nemmeno nella nostra Regione adeguate soluzioni per garantire l’assistenza ai pazienti più fragili».

Un altro nodo riguarda il personale sanitario. A Bologna l’Asl ha deciso nuovamente di bloccare ferie e permessi, come già era successo durante i picchi precedenti, ma il problema sembra strutturale e il nodo riguarda anche la disponibilità di personale sanitario.
Per questo motivo Ugl, insieme ad altri sindacati, torna ad insistere sulla questione del numero chiuso alla Facoltà di Medicina, che andrebbe rimosso per avere più personale medico a disposizione, anche in futuro.

ASCOLTA L’INTERVISTA A TULLIA BEVILACQUA:

Visite ed esami, un forte impatto anche sulla prevenzione

Se la cura dei pazienti si inceppa, ancor peggio va alla prevenzione dell’insorgenza di patologie. Alcuni ascoltatori ci hanno segnalato i problemi riscontrati nell’accesso all’ambulatorio MTS (Malattie a Trasmissione Sessuale) del Policlinico Sant’Orsola. Se prima della pandemia l’accesso era libero e ogni giorno accoglieva decine e decine di persone che si sottoponevano a test come quello dell’Hiv o di altre malattie sessualmente trasmissibili, con l’arrivo del Covid l’ambulatorio riceve appena 20 persone al giorno, con modalità che poco si conciliano con i tempi di lavoro delle persone.

In particolare, continua l’accesso continua a non essere previsto su prenotazione, ma occorre presentarsi di persona e sperare di riuscire ad accedere. Sullo stesso sito dell’Ausl di Bologna vengono spiegate le modalità di accesso: «L’accesso all’ambulatorio MTS è consentito ogni giorno unicamente a 20 persone. La distribuzione dei numeri di chiamata avviene dalle ore 07.30 fino all’esaurimento dei 20 numeri. Per evitare assembramenti nei corridoi gli utenti dal numero 1 al numero 10 rimarranno per l’accettazione alla stanza n.2,
dal numero 11 al numero 20 torneranno per l’accettazione dalle ore 09.00 in poi».

«C’è stato un brusco calo delle diagnosi – racconta ai nostri microfoni Silvi De Gasperi, referente di Cassero Salute – e non perché le persone non abbiano un’attività sessuale, ma perché è diminuita la possibilità di effettuare test». I dati relativi agli anni di pandemia, infatti, segnano quasi un dimezzamento delle diagnosi di Hiv e ciò non significa che il virus circoli meno, ma che le persone scoprono con meno frequenza di averlo contratto. E le conseguenze rischiano di vedersi sul medio-lungo periodo, poiché il venir meno della prevenzione può favorire la circolazione dell’Hiv.

A Bologna esistono anche realtà associative, come Blq Checkpoint di Plus, che effettuano test per l’Hiv su appuntamento, ma non sono in grado di sobbarcarsi il peso e la quantità di persone che erano seguite dalla sanità pubblica. «Prima della pandemia le persone testate ogni giorni superavano le 60 – sottolinea De Gasperi – Oggi sono appena 20 e, per una città come Bologna, è davvero poco».
Ciò che serve, dunque, è una riflessione urgente su come rimodulare questi servizi, perché il Covid ha oscurato altre patologie, che però continuano ad essere presenti.

ASCOLTA L’INTERVISTA A SILVI DE GASPERI: