La vicenda giudiziaria che ha coinvolto la famiglia del presidente del Senato Ignazio La Russa, con il figlio Leonardo accusato di aver stuprato una ragazza, merita di essere osservata da una prospettiva diversa: il comportamento dei padri.
Non è infatti la prima volta che il figlio di un personaggio politico in vista finisce al centro di un’inchiesta per violenza sessuale. È capitato al figlio di Beppe Grillo e, nonostante le formazioni politiche diverse, la condotta dei padri è quasi sovrapponibile.

La Russa, quando i padri potenti giustificano i figli con argomentazioni tipiche del patriarcato

Tanto La Russa quanto Grillo hanno infatti dato fondo a dinamiche e meccanismi tipici della violenza di genere, in particolare di quella che viene definita vittimizzazione secondaria: la difesa incondizionata dei figli e lo screditamento della vittima, che si sarebbe inventata tutto per il proprio tornaconto.
Addirittura il presidente del Senato ha affermato di aver a lungo interrogato il figlio, ma di non avere ravvisato nulla di penalmente rilevante. Scopriamo così che La Russa, oltre alla presidenza del Senato, nel tempo libero si diletta nel ruolo di magistrato e lo fa in un modo invidiabile per la giustizia italiana, cioè arrivando a sentenza (di assoluzione) in tempi record.

Tra le argomentazioni tese a colpevolizzare la vittima ci sarebbe la tempistica della denuncia, 40 giorni dopo l’episodio, e il fatto che la ragazza avrebbe assunto sostanze stupefacenti. Quest’ultimo elemento rappresenta semmai un’aggravante del presunto stupro, mentre i tempi di denuncia, specie se ad agire violenza è il figlio di un personaggio potente, non rappresentano alcuna prova di innocenza dell’aggressore. Lo sanno benissimo i centri che assistono le donne che hanno subito violenza e che hanno difficoltà di diversa natura, come quelle psicologiche o quelle economiche.

Il caso Facci, la frase oscena del sodale

Se La Russa difende a spada tratta il figlio scegliendo di abbandonare la prudenza, come spesso accade c’è chi è più realista del re. Si tratta del giornalista di Libero Filippo Facci, che in un afflato patriarcale ha utilizzato espressioni oscene in un editoriale sulla vicenda. «Fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa» è la frase riservata alla vittima da parte di Facci.
Agendo come un sodale delle posizioni patriarcali, il giornalista è ora al centro delle polemiche tra chi chiede interventi da parte dell’Ordine dei Giornalisti e chi chiede di non affidargli la trasmissione Rai che dovrebbe condurre.

«Noi solitamente scegliamo di discutere con i colleghi, non andiamo a colpi di denuncia – spiega ai nostri microfoni Silvia Garambois, presidente di Giulia, Giornaliste Unite Libere Autonome – Ci sono invece dei casi limite, come quello di Facci, che ci obbligano a cambiare toni e denunciare al Consiglio di Disciplina dell’Ordine dei Giornalisti».
Gambois sottolinea che se solitamente il giornalismo prende le parti della vittima, come nei casi di incidente stradale o di rapina, nei casi di violenza maschile, invece, tradizionalmente molti giornalisti fanno di tutto per giustificare l’uomo.

Un problema anzitutto culturale che, per la presidente di Giulia, rappresenta un retaggio patriarcale di leggi in vigore fino a non molti decenni fa. Gambois ricorda che fino al 1981 era in vigore il codice Rocco con il delitto d’onore e che per arrivare ad una legge sullo stupro come reato contro la persona abbiamo dovuto attendere il 1996.

ASCOLTA L’INTERVISTA A SILVIA GARAMBOIS:

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