Ora che l’ultima occupazione abitativa è stata sgomberata, abbiamo imparato molte cose sulla Bologna e sull’Italia di oggi. Dalla predilezione della Questura per le operazioni mastodontiche alla composizione sociale degli occupanti. Gli stessi che vengono sfruttati sul lavoro, vengono poi sgomberati con violenza: vittime due volte del capitale.
Lo sgombero dell’occupazione abitativa di via De Maria, l’ultima rimasta in città, ci dice tante cose della Bologna e dell’Italia del 2016. Innanzitutto ci conferma quello di cui avevamo avuto solo una sensazione nei precedenti sgomberi: la predilezione della Questura di Bologna per gli effetti scenografici, per le operazioni mastodontiche – sproporzionate rispetto alla reale portata dell’intervento – che servono per far passare in modo nitido un messaggio: dovete avere paura della legge, dovete vedere cosa succede se trasgredite le regole, non importa se lo fate perché non avete alternative.
Il primo episodio lo abbiamo visto durante lo sgombero di Villa Adelante. Un’operazione avvenuta nel primo pomeriggio, in un orario di punta, quando era facile congestionare i viali cittadini. E così è stato. Il secondo episodio è stato lo sgombero dell’ex Telecom, quando il “contingente” intervenuto non aveva nulla da invidiare a quelli mandati in guerra, sia per numero di agenti che per mezzi impiegati.
Allo stesso modo, con un copione ormai rodato, oggi è stato deciso deliberatamente di bloccare un intero quartiere, isolando tutte le strade di accesso a via De Maria, ma ad una distanza considerevole dallo stabile occupato. Paralizzare il traffico e una zona intera della città non serve a svolgere in sicurezza le operazioni di sgombero, ma a provocare effetti anche ai “cittadini normali”.
Un altro elemento interessante viene dalla composizione sociale degli occupanti. Ascoltando le loro storie, è facile trovare una matrice comune: persone che sono state sfrattate perché hanno perso il lavoro e sono diventati morosi, famiglie monoreddito, italiani e stranieri con lavori precari, a chiamata o voucher, che non possono offrire le garanzie necessarie e non possono permettersi affitti da 700 o 800 euro.
Nelle testimonianze raccolte (che potete ascoltare in coda all’articolo), gli ormai ex occupanti dicono tutti una stessa cosa: sono disposti a pagare per avere un tetto, ma quanto chiesto deve essere compatibile con i loro redditi.
Non ci troviamo quindi di fronte a parassiti, come vorrebbe dipingerli qualcuno a destra, ma a persone in difficoltà, cui non vengono proposte soluzioni adeguate. Le stesse alternative offerte dai servizi sociali sembrano tarate su livelli di disponibilità economica che non corrispondono più alla realtà dei fatti. Se in città gli affitti calmierati per un appartamento sufficientemente grande da ospitare una famiglia si aggirano sui 7-800 euro, contro cifre di libero mercato che superano facilmente i mille euro, c’è un’intera fascia di popolazione, e presto un’intera generazione, che non può pagare.
Gli occupanti di via De Maria, così come quelli dell’ex Telecom, sono gli stessi facchini della logistica che vengono sfruttati dalle cooperative spurie per conto di grandi aziende, sono le addette alle pulizie che vengono sottopagate, con stipendi in ritardo di mesi, sono fattorini che ci consegnano le pizze comodamente in poltrona.
Il capitale, dunque, li colpisce due volte. Da un lato li usa e li schiavizza sul lavoro, reprimendoli se provano a rivendicare i diritti basilari. Dall’altro li manganella e li sgombera se osano pretendere un tetto in uno stabile vuoto da oltre 10 anni invece che dormire per strada.
La guerra alla povertà di cui si blatera da tempo, da ormai dieci anni è diventata una guerra ai poveri. La loro condizione non è più una situazione prodottasi da un ordinamento ingiusto e da un’iniqua distribuzione della ricchezza, ma è una sorta di colpa, di peccato originale per il quale è giusto essere puniti.
Il processo, a Bologna, è cominciato con la famosa “accoglienza disincentivante” dell’epoca Cofferati, quando fu ordinato un giro di vite su dormitori e servizi a bassa soglia, ed è continuata con politiche inconsistenti agite da amministratori più interessati ai lustrini gentrificatori per le strade che alla condizione materiale dei cittadini.
La rabbia che questa violenza sociale sta producendo prima o poi esploderà. Finora a incanalarla in una lotta organizzata e affatto pericolosa sono state realtà come Social Log.
Sgomberando anche l’ultima occupazione abitativa presente in città, dissipando le persone che sulla propria miseria condivisa avevano costruito una comunità, si crea un vuoto ed una solitudine che può portare alla disperazione. Con effetti che, a posteriori, ci potrebbero far interrogare sul perché non siamo stati in grado di evitare.