Così venne definito Gavril Popov (1904-1972), ossia come il gemello siamese (in senso musicale) del quasi coetaneo Dimitri Shostakovich (1906-1975). Molti tratti, artistici e non, li accomunano, a cominciare dalla reciproca stima ed ammirazione, testimonianza del loro debordante talento di musicisti. Purtroppo li accomunano pure le purghe ideologiche staliniste del ’36 e del ’48, con le relative accuse di “formalismo” e la conseguente necessità di dover camuffare la loro più autentica indole stilistica, per poter proseguire nella loro attività musicale (nonostante l’arretramento stilistico implicito in questa operazione, resto sempre stupefatto della capacità di tutti questi compositori sovietici, di far emergere comunque la loro effettiva statura artistica, dando prova di notevole camaleontismo stilistico, peraltro aderendo in maniera solo superficialmente ambigua ai dettami del regime, discorso che, a mio avviso, vale anche per Popov, in barba ad opinioni contrarie in merito).

Diversa fu però la loro reazione psicologica a queste vessazioni, poichè Shostakovich, senz’altro dal carattere più saldo e quindi più furbo e pragmatico, riuscì comunque a mantenere fino alla fine una posizione di prestigio, nel mentre il più fragilmente emotivo Popov, annegò nell’alcolismo e nella depressione, senza più alcun riconoscimento ufficiale da parte del regime (con l’unica eccezione d’un Premio Stalin nel ’46), pur continuando a produrre lavori anche per il cinema e lasciando, alla morte, un’incompiuta 7^ sinfonia, senza riuscire mai a rientrare, pur sforzandosi di “adeguarsi”, nelle “grazie” del regime, anche dopo la morte di Stalin.

Emblematica a questo proposito, la 1^ sinfonia, op.7, per grande orchestra (1929-34) di Popov, la più “eversiva” delle sue sinfonie, evidente modello, nella sua arditezza armonica, ma anche nella sua struttura in 3 tempi, dell’altrettanto “sovversiva”, tormentata e quasi coeva 4^ sinfonia (’36) di Shostakovich (la più estrema delle sue 15 sinfonie), in onda, quella di Popov, nella puntata di giovedì 5 maggio. La prima assoluta di questo capolavoro misconosciuto si ebbe il 22 marzo del ’35, con l’Orchestra Filarmonica di Leningrado diretta da Fritz Stiedry, per essere poi messa immediatamente al bando il giorno seguente e “liberata” dopo un mese, ma per poi venire definitivamente “cancellata” e mai più eseguita vivente l’autore, a partire dal ’36, stante l’evidente “affinità elettiva” di Popov con Shostakovich, anch’egli caduto in disgrazia nel frattempo. Soltanto in tempi più recenti, a partire dalla “glasnost”, sarà finalmente riesumata, non riuscendo però comunque ad entrare nel repertorio abituale delle orchestre.

Una sinfonia strana anche in seno alla sua struttura tripartita, poichè ad un primo movimento esteso quasi quanto gli altri 2 messi insieme, dal carattere bizzarramente irrequieto, segue un lirico tempo lento già meno prolungato, per poi terminare con un assai più breve scherzo demoniaco caratterizzato da una coda che, sorta di maionese impazzita a livello musicale, sembra una versione se possibile ancora più allucinata ed estrema del finale del “Poema dell’Estasi” di Scriabin, con echi persino d’un altro finale, ovvero quello della “Suite Scita” di Prokofiev.

Poche le incisioni discografiche di questo come degli altri lavori di Popov, che continua ingiustamente a rimanere in pratica un perfetto sconosciuto (supplisce youtube, in minima parte). Quella presentata in questa sede, effettuata per la Telarc, dal 5 all’8 aprile del 2004, alla Watford Town Hall di Watford, dall’Orchestra Sinfonica di Londra diretta da Leon Botstein, segue di poco la prima esecuzione pubblica statunitense di questa sinfonia, diretta dallo stesso Botstein, a capo dell’American Symphony Orchestra, a New York.

“Un tocco di classico” va in onda ogni giovedì alle ore 24, su Radio Città Fujiko, in streaming ed in fm 103.1 mhz.

—- Gabriele Evangelista —-