In un periodo di forte isolamento, è bello sapere che dal basso fioriscono alternative in grado di restituire coesione e divertimento sociale agli adolescenti. L’iniziativa, di cui abbiamo parlato con Carlo Caleffi, direttore del centro salesiano Cnos Fap, nasce infatti sul campo di pallone, un luogo costitutivamente comunitario.
Il calcio è un collante antropologico e sociale, ma come tante altre attività sportive ha dovuto fare i conti con la pandemia. Da qui nasce il “football anti-Covid”, ovvero, la possibilità per tante ragazze e ragazzi di tornare a giocare in squadra, maa distanza”.

Football anti-Covid, un collante sociale nella pandemia

Da quando è iniziata la pandemia, molte attività sportive hanno sofferto per via delle normative sul distanziamento sociale. Specie gli sport di squadra, come il calcio, dove smarcare il pallone o difendere l’area di rigore richiede la vicinanza fisica.
Il Covid ha portato con sé anche la capacità di reinventarsi per molte persone, talvolta per necessità lavorative, talvolta per urgenze sociali. E proprio l’urgenza sociale è stato l’impulso per il centro di formazione professionale salesiano Cnos Fap, a Castel de’ Britti, di inventare un “escamotage” per far tornare i propri adolescenti sul campo di pallone, adeguando la partita alle normative vigenti con il “football anti-Covid”.

«L’iniziativa è nata nel periodo natalizio», spiega ai nostri microfoni Carlo Caleffi, direttore del centro. Un periodo che, come sappiamo, è stato contraddistinto da una grande confusione in materia legislativa circa la riapertura delle scuole o meno a gennaio. «Questo ha gettato nello sconforto molte famiglie e ragazzi che da molti mesi non tornavano a scuola in presenza».
Il Cnos Fap di Castel de’ Britti è un piccolo centro di formazione professionale che in questo periodo ha portato avanti i propri corsi a distanza, con due appuntamenti settimanali in presenza. Come spiega Caleffi, però, il centro «è un centro salesiano, per cui il cortile e il gioco fanno parte della vita quotidiana». È stata l’apatia dei ragazzi che popolano il centro a spingere il direttivo ad inventare qualcosa di nuovo secondo le normative di sicurezza.
«Il calcio è il gioco più praticato dai ragazzi – osserva il direttore – Noi abbiamo tanti ragazzi di religioni e culture diverse, che sono abituati a conoscersi per strada, e farebbero fatica altrimenti. Il calcio è quel linguaggio universale che non volevamo perdere».

Il calcio è, infatti, un importante collante comunitario, specie un momento così complesso dove il turbamento emotivo viene spesso subordinato all’emergenza che richiede, per forza di cose, il contenimento sociale con misure rigide.
«Per questo abbiamo pensato ad un calcio a distanza», un calcio che possa riunire i ragazzi, distrarli dalla situazione, rallegrarli nelle pause di studio e ricostruire il tempo libero con attività all’aria aperta e fuori anche dagli schermi, che ormai fanno da casa, scuola, e anche svago.
Proprio per non perdere questo linguaggio comune, il centro ha «pensato a delle nuove regole per il calcio, e da lì è nato il football anti-covid».

Come funziona il calcio distanziato

Per rispettare le norme di sicurezza, il campo a 7 è stato suddiviso in diverse aree dove, all’interno di ognuna, gioca solamente un calciatore cosicché le persone non entrino in contatto.
Le squadre possono contare su un portiere, due difensori, un centrocampista, un trequartista e due attaccanti. Le loro zone ben delimitate costituiscono uno spazio sicuro, dove non si può entrare in contatto. La marcatura, infatti, avviene frontalmente. È la presenza di un arbitro a garantire che le linee di queste zone non vengano valicate.
Ciò che potrebbe apparire un limite, consolida in realtà l’insegnamento basilare nel calcio: passare la palla. In un continuo movimento, tutti i calciatori sono costretti a passare velocemente il pallone, riscoprendo in un certo senso una sfida contro l’individualismo calcistico e il senso del gioco di squadra.

GUARDA IL TUTORIAL:

Quello del centro salesiano è a tutti gli effetti una forma di resilienza, come è stata definita, perché si pone come un esempio di reazione creativa e costruttiva a quanto stiamo vivendo. Ma soprattutto perché porta avanti la formazione educativa di molti ragazzi e ragazze che popolano il centro, dando loro una possibilità di combattere nel proprio piccolo la battaglia contro il covid.
Il calcio anti-covid si presenta sotto ogni aspetto «un gioco molto più trasversale e di squadra, che raccoglie ragazzi e ragazze di tutte le età». Sono stati gli adolescenti, infatti, a «ritinteggiare il campo e mettere a posto il cortile» dimostrando molta carica ed entusiasmo «portando un clima di lavoro di squadra».

Emily Pomponi

ASCOLTA L’INTERVISTA A CARLO CALEFFI: