Quella che, partendo da Bologna, poteva essere una stagione di ripubblicizzazione del servizio idrico rischia di essere un’occasione mancata e l’ennesimo atto che disattende il referendum del 2011. Da un lato, infatti, il ddl Concorrenza dà impulso a nuove privatizzazioni, dall’altro la Corte costituzionale ha bocciato il ricorso dell’Avvocatura dello Stato contro la delibera della Regione Emilia-Romagna che proroga le concessioni per la gestione dei servizi ambientali. In altre parole l’acqua pubblica si allontana.

Acqua pubblica, il ricorso bocciato dalla Corte costituzionale

È su questo doppio binario che Corrado Oddi, portavoce della Rete Emergenza Climatica e Ambientale (Reca) manifesta il suo disappunto per l’ostinazione con cui la politica, nonostante l’espressione chiara del popolo italiano nelle urne ormai undici anni fa, continua a inseguire il dogma della privatizzazione e impedisce che un bene essenziale come l’acqua venga ripubblicizzato.
«Siamo in presenza di una vicenda scandalosa – commenta Oddi a proposito del ricorso alla legge regionale – Il provvedimento è illegittimo perché non può essere una legge regionale a normare gli affidamenti che sono decisi da Atersir, l’Agenzia regionale».

Nei giorni scorsi la Corte costituzionale ha infatti rigettato il ricorso dell’Avvocatura dello Stato contro la delibera 14 del 21 ottobre 2021 della Regione Emilia-Romagna con cui Viale Aldo Moro ha prorogato al 2027 le concessioni per la gestione dei servizi ambientali, quindi acqua e rifiuti. A Bologna, in particolare, la concessione sarebbe scaduta a fine 2021 e per Reca quella sarebbe stata l’occasione per procedere verso una ripubblicizzazione del servizio.
Palazzo Chigi aveva impugnato la proroga perché, a suo avviso, la Regione era andata oltre le sue competenze, ma per la Corte costituzionale il ricorso va respinto perché «il Presidente del Consiglio dei ministri non ha assolto all’onere argomentativo di chiarire il meccanismo attraverso il quale la disciplina dettata dal legislatore regionale si pone in contrasto con le norme evocate a parametro».

«In altri termini – commenta Reca – la Corte dice che l’Avvocatura dello Stato, a nome della Presidenza del Consiglio, non è stata capace di supportare adeguatamente le proprie argomentazioni. Oppure, come maliziosamente diciamo noi, non lo ha voluto fare».
Per la rete ambientalista il ricorso dello Stato era composto da «una paginetta e mezzo assolutamente scarna e priva di approfondimenti significativi». Ecco perché per Reca l’opposizione alla delibera sarebbe stata solo di facciata.

Ddl Concorrenza, non solo balneari: la privatizzazione dell’acqua

In questi giorni il governo è in fibrillazione sul ddl Concorrenza. A bloccare la sua approvazione sono le norme per gli stabilimenti balneari, con divisioni interne alla maggioranza di governo che hanno spinto il presidente del Consiglio Mario Draghi a lanciare un ultimatum.
Tuttavia quella misura non è l’unica problematica all’interno del disegno di legge. Una settimana i movimenti per l’acqua pubblica sono scesi in piazza contro le norme che spingono per ulteriori privatizzazioni nei servizi ambientali. «Il ddl Concorrenza è l’apoteosi del neoliberismo», commenta Oddi.

Sono diversi i nodi problematici. A partire dall’impostazione che, «dietro la riproposizione del mantra “crescita, competitività, concorrenza” – sostengono i comitati per l’acqua pubblica – si prefigge una nuova ondata di privatizzazioni di beni comuni fondamentali, dall’acqua all’energia, dai rifiuti al trasporto pubblico locale, dalla sanità ai servizi sociali e culturali, fino ai porti e alle telecomunicazioni». All’articolo 6, in particolare, il ddl individua nel privato la modalità ordinaria di gestione dei servizi pubblici rendendo residuale la loro gestione pubblica. Le comunità locali sarebbero così espropriate dei beni comuni, spingendole a gestioni in forme mercantili, come le società per azioni. Inoltre toglie al pubblico diritti e democrazia, azzerando la storica funzione pubblica e sociale dei Comuni.

In realtà, Oddi spiega che l’articolo 6 del ddl era stato modificato, in modo da rimuovere la parte relativa alla relazione preventiva che gli Enti Locali avrebbero dovuto presentare qualora volessero gestire pubblicamente i servizi idrici e ambientali. Però la fretta di Mario Draghi, che ha scritto alla presidente del Senato per accelerare l’approvazione in Parlamento, e la possibilità che il governo ponga sul provvedimento la questione di fiducia rende incerto capire se il testo che verrà votato in aula sia quello orginario o quello modificato.

Acqua pubblica: la proposta di legge popolare di Reca

Alla fine di gennaio scorso Reca ha lanciato una campagna di raccolta firme per quattro leggi regionali di iniziativa popolare sui temi ambientali. Acqua, rifiuti, energia e consumo di suolo i temi presi in esame, su cui vengono avanzate proposte per una gestione radicalmente diversa da quella attuale che, ad esempio per l’energia, sta mostrando le proprie storture anche a causa della crisi internazionale scaturita dalla guerra in Ucraina.
«Interveniamo sull’insieme delle politiche ambientali della Regione – spiega Oddi – perché noi diamo un giudizio fortemente critico dell’insieme delle politiche ambientali dell’Emilia-Romagna. E abbiamo scelto lo strumento delle leggi di iniziativa popolare perché vogliamo far vivere questi temi tra le persone».

Sull’acqua pubblica, nello specifico, la proposta di legge dichiara acqua e rifiuti beni pubblici comuni, chiede di favorire la ripubblicizzazione dei servizi, abolisce l’Ambito unico regionale per Ambiti di dimensioni provinciali, restituendo maggiori poteri ai Comuni e alla popolazione attraverso processi partecipativi e detta principi, criteri e regole per la salvaguardia di risorse come l’acqua e i rifiuti.
Sono cinquemila le firme da raccogliere per presentare le proposte di legge all’Assemblea Legislativa. Per raccoglierle Reca e Legambiente stanno organizzando banchetti in diversi luoghi della regione, consultabili nella sezione “Dove firmare” sul sito della campagna.

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