Militarizzazione ed allarmi invasivi per l’allerta terrorismo da un lato, rabbia e scontri per l’ennesimo afroamericano ucciso dall’altro. Gli Stati Uniti si avvicinano al voto dell’8 novembre in una situazione di incertezza interna. Clinton beneficiata nei sondaggi sulla questione razziale, Trump cerca di cavalcare la paura del terrorismo. Entrambi, però, non sembrano all’altezza. La corrispondenza da New York di Elena Monicelli.

La temperatura politica negli Stati Uniti si sta decisamente scaldando. Quando manca un mese e mezzo al voto che deciderà il nuovo inquilino della Casa Bianca, le grandi questioni che si sono imposte con forza negli ultimi giorni sono due: l’allarme terrorismo e le tensioni razziali irrisolte.
Sabato scorso un ordigno rudimentale è esploso a New York, ferendo 29 persone senza però causare vittime. Altre bombe fatte in casa sono state poi rinvenute dalla polizia, che ha successivamente individuato e arrestato un uomo afghano di 28 anni, Ahmad Khan Rahami.
Violenti scontri, invece, sono scoppiati a Charlotte, in North Carolina, per l’ennesima uccisione di un afroamericano da parte della polizia. Per due notti la rabbia della comunità è espolsa al punto che il governatore dello Stato ha proclamato lo stato di emergenza.

Per capire il clima che si respira negli Stati Uniti, abbiamo raggiunto Elena Monicelli della Scuola di Pace di Monte Sole, che si trova a New York per una borsa alla Columbia University e che da venerdì prossimo condurrà il format “Camera con vista” sulle nostre frequenze.
“Mi sembra di essere in Bolognina”, ironizza parlando della presenza di militari nelle strade in seguito all’allerta terrorismo.
Il rischio di attentati, dunque, ha portato alla militarizzazione della città e, tra le autorità, si registrano atteggiamenti di segno diverso. “Il sindaco è stato molto bravo – osserva Monicelli – Ha tenuto un basso profilo per non spaventare le persone.

A soffiare sul fuoco, invece, è stata la polizia, che per la prima volta ha usato il dispositivo di allerta che solitamente si utilizza per fenomeni atmosferici come tornado e cicloni”. In particolare, racconta la corrispondente, il mio cellulare è squillato con un allarme sconosciuto e con la richiesta, da parte della polizia, di chiamare il 911 se qualcuno avesse avvistato il ricercato. Un allarme che ha raggiunto 4 milioni di persone presenti in una determinata area. Un metodo invasivo e di dubbio rispetto della privacy.
Donald Trump cerca di cavalcare il tema terrorismo ma, secondo Monicelli, ci riuscirà fino a un certo punto. “Le persone cominciano ad essere stanche, non reputano entrambi i candidati capaci di far fronte alla situazione perché non si conosce chi sia il nemico. Potrebbe succedere che il popolo americano non abbia più voglia di farsi trascinare in guerre di cui paga le conseguenze”.

I fatti di Charlotte, invece, riaprono una ferita che non si era affatto rimarginata. Se tutto è cominciato da Ferguson, le uccisioni di afroamericani da parte della polizia continuano ed è ormai  chiaro che il Paese è diviso e che è ancora aperta la questione razziale.
“Il movimento ‘Black lives matter’, che inizialmente aveva faticato ad affermarsi – spiega la corrispondente – sta invece crescendo velocemente e non solo tra le persone di colore. In North Carolina i sondaggi danno in crescita Hillary Clinton, a testimoniare come il tema sia sentito e si desideri una soluzione che vada oltre la contrapposizione”.

Il presidente Barack Obama, però, non sembra voler affrontare di petto la questione del razzismo delle forze dell’ordine. Il tema che ha evocato in più occasioni riguarda la diffusione delle armi, ma non si è spinto a criticare l’operato della polizia.
“Esiste un fondo di americanità, una sorta di orgoglio verso forze dell’ordine ed esercito che difficilmente viene messo in discussione – osserva Monicelli – Per Obama è più facile condurre una battaglia contro le armi, che difficilmente vincerà vista la forza delle lobby, piuttosto che criticare le forze dell’ordine”.