Usare in modo costante e ossessivo le parole fascismo, nazismo e razzismo, anche se con accezione dispregiativa rischia di svuotarle di significato e normalizzarle. È uno dei risultati della ricerca interdisciplinare “Ha ancora senso, oggi, parlare di fascismo, nazismo e razzismo?” condotta dall’Alma Mater e promossa da Ordine e Fondazione regionale giornalisti in collaborazione con Archiginnasio, Fondazione Gramsci Emilia-Romagna, Istituto storico Parri e Corecom regionale.

La ricerca, che è stata finanziata dalla Fondazione del Monte, si è svolta dalla fine del 2019 ed ha coinvolto diverse aree disciplinari, da quella della semantica a quella storica, passando per quella giuridica e quella psicologica. Quattro approcci diversi per verificare l’effetto che l’uso contemporaneo di quei termini e di quelli collegati alla loro area semantica producono nell’opinione pubblica. E i risultati sono stati presentati questa mattina in un incontro all’Archiginnasio di Bologna.

Fascismo: l’uso inappropriato delle parole le svuota di significato

L’idea della ricerca parte dalla constatazione dell’utilizzo delle parole fascismo, nazismo e razzismo (e loro derivati) nel presente, in particolare utilizzate in tono dispregiativo nei confronti di formazioni o esponenti politici, come Matteo Salvini, Giorgia Meloni e i partiti di estrema destra. Concetti e fenomeni storici che vengono utilizzati anche al giorno d’oggi e con particolare insistenza.
Uno degli scopi della ricerca è stato quello di verificare l’impatto che il loro utilizzo contemporaneo ha nella percezione dei fenomeni stessi e se il suo uso costante, fino ad arrivare quasi all’ossessione, produca o meno maggiori comprensione e consapevolezza nelle persone.

Ad aprire la presentazione dei risultati della ricerca è stata Giovanna Cosenza, docente e semiologa dell’Università di Bologna, che si è concentrata sull’area di propria competenza, quella della comunicazione di massa.
Il lavoro svolto dalla sua equipe ha preso la comunicazione pubblica attraverso alcuni giornali e alcuni format televisivi dove venivano utilizzate le parole fascismo, nazismo e razzismo applicate al presente.
A passare sotto la lente dell’analisi non è stata solo la frequenza con cui quelle parole sono state utilizzate, ma anche i modi e le narrazioni con cui vengono utilizzate.

«In Italia, in particolare, c’è un’inflazione dell’utilizzo della parola fascismo e, come tutto ciò che si ripete, che si inflaziona, si deprezza – osserva Cosenza – Nel caso di un’inflazione di parole si va a finire su un loro svuotamento semantico. E a furia di essere ripetute perdono significato».
Nell’esposizione dei risultati, la semiologa ha riferito che nei giornali e nelle televisioni italiane i concetti di fascismo, razzismo e fascismo vengono rappresentati come una negatività assoluta solo se vengono riferite al passato, mentre tutto ciò che di queste aree semantiche viene riferito alla contemporaneità viene riferito come meno minaccioso, più sfumato, perché riferito solo a gruppi minoritari, alla follia di qualcuno o ai social media.

Al contempo, anche l’opposizione ai concetti di fascismo, nazismo e fascismo viene rappresentata quasi esclusivamente al passato, attraverso interviste ad ex deportati, come la senatrice Liliana Segre, o espontenti dell’Anpi. L’antifascismo, dunque, viene rappresentato solo come testimonianza storica e non viva nel presente. L’unica eccezione riferita dalla docente e relativa al periodo in cui è stata effettuata la ricerca riguarda il movimento delle Sardine, che si proponeva come nettamente antifascista.

Quando su giornali e tv nazionali italiani si parla di fascismo, nazismo e razzismo lo si fa spesso e volentieri in modo stereotipato e sensazionalistico, senza un approfondimento concreto sulle minacce del presente.
Ciò, abbinato agli elementi del funzionamento della comunicazione di massa crea un effetto molto rischioso, fatto di svuotamento di significato e di normalizzazione. «Se ripeti le parole le porti ad uno svuotamento semantico – sottolinea Cosenza – ma c’è di più: se prendiamo l’esempio del turpiloquio, quanto più spesso viene ripetuto meno valore di volgarità avrà». Lo stesso avviene con il fascismo, il nazismo e il razzismo.

C’è poi un ulteriore meccanismo del funzionamento della comunicazione di massa, molto noto alla pubblicità e sintetizzabile nell’espressione “nel bene e nel male purché se ne parli“. «Un’insistenza eccessiva su quelle parole, specie se fatta in modo poco critico o edulcorato vuol dire attrarre comunque l’attenzione su questi fenomeni, farli presenti a chi non li conosceva, come i bambini, e si rischia di creare mode e tendenze – sottolinea Cosenza – Anche il motivetto che meno ti piace, se ripetuto, alla fine ti entra in testa e, se non arriverai a fartelo piacere, alla fine arriverai a conviverci».

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