«Non ci sono le risorse». È questa la risposta che spesso si è sentito dire chi chiedeva assunzioni in settori pubblici in sofferenza, chi lamentava lunghe liste d’attesa nella sanità, chi sottolineava la scarsità di case popolari e via di questo passo. L’assenza di risorse, così come i vincoli di bilancio, il blocco del turnover, il patto di stabilità sono stati mantra europei, almeno fino alla presentazione di ReArm Europe, il piano da 800 miliardi della Commissione europea che ha derogato ad ogni rigida regola sul debito in favore delle armi, dando la possibilità anche di utilizzare risorse destinate al welfare per consentire ai singoli stati dell’Unione europea di incrementare gli arsenali bellici.
La “sicurezza” armata sottrae risorse a quella sociale: le infografiche di “Ferma il riarmo”
Una delle tante ragioni che la campagna “Ferma il riarmo” di Sbilanciamoci, Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace, Rete Italiana Pace Disarmo e Greenpeace Italia adduce contro il piano europeo ruota attorno al concetto di “sicurezza”.
Oggi i sostenitori del riarmo affermano che c’è la necessità di puntare sulle armi per garantire maggiore sicurezza ai popoli europei. Ancora una volta il concetto su cui si fa leva è quello della deterrenza armata, secondo cui la minaccia militare può essere uno strumento efficace per dissuadere chiunque voglia attaccarci, ma il discorso pubblico bellicista va anche oltre, paventando un’aggressione imminente.
Eppure la moltiplicazione degli arsenali, tra cui quelli nucleari, non ha rasserenato il clima. Al contrario ha aumentato la pericolosità e l’insicurezza, avvicinando pericolosamente un possibile “incidente” che scateni una nuova guerra.
Al contrario, “Ferma il riarmo” evidenzia che c’è un altro tipo di sicurezza possibile, quella sociale, che la corsa al riarmo compromette, anzitutto per ragioni economiche.
Ogni euro destinato alle armi è un euro sottratto al welfare, alla sanità, alla scuola e al lavoro. Per rendere ancora più chiaro il concetto, la campagna ha elaborato delle infografiche con cui sottolinea come potrebbero essere investite diversamente le risorse che ora finiscono nelle spese militari.
«Uno dei motivi che ci ha spinto a dare vita a questa campagna è quello dell’informazione, dei dati e dell’analisi – spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Italiana Pace e Disarmo – Abbiamo elaborato alcune infografiche per mostrare l’alternativa ai sistemi d’arma già presenti, quindi nemmeno a quelli futuri».
A cosa potrebbero servire i soldi delle armi: le alternative alle spese militari
1,42 miliardi di euro, attualmente destinati all’acquisizione di carri armati in Italia potrebbero invece servire per garantire l’assunzione per 5 anni di 9700 assistenti domiciliari per anziani non-autosufficienti. Oppure i 2 miliardi di euro che l’Italia spende per il programma di fregate Fremm Evo garantirebbero l’assunzione di 15mila infermieri in più per 5 anni. O ancora l’1,22 miliardi di euro spesi per i sistemi per la fanteria pesante potrebbero essere sostituiti da 770 piccole opere contro le alluvioni. E i 397 milioni stanziati per il completamento del cacciatorpediniere Ddx permetterebbero invece la messa in sicurezza di 800 scuole fuori norma che attualmente frequentano gli alunni italiani.
Anche la Campagna Sbilanciamoci avanza esempi in questa direzione. «Il costo di un solo F35 – sottolinea il portavoce Giulio Marcon – corrisponde alla messa a disposizione di 6500 residenze per gli studenti universitari. Con il costo di un carrarmato Leopard noi potremmo acquistare 1409 ventilatori polmonari che sono mancati durante la pandemia. Invece di spendere i soldi per un cingolato leggero potremmo comprare 224 ambulanze».
Gli esempi avanzati si concentrano su temi come la sanità, la scuola e l’ambiente anche perché sono settori in cui la spesa pubblica italiana è inferiore alla media europea. Per Marcon questo è indice di quanto il nostro Paese sia «messo male», poiché deve sacrificare settori importanti per la vita delle persone in favore delle armi.
«Molti dicono: ma questo è populismo – sottolinea Vignarca – Non è populismo, è una scelta. È una scelta quella di investire per la pace, il welfare, il lavoro e per l’ambiente o investire per i sistemi militari. Noi pensiamo che la prima scelta è quella che ci garantisce maggiore sicurezza, oltre che una ricchezza economica maggiore, oltre ovviamente la preservazione dei diritti e della vita. Non si può dire che la difesa serve per forza o puntare al 2-3-4% del pil per le armi senza giustificare a cosa servirebbero le spese militari».
ASCOLTA LE PAROLE DI VIGNARCA E MARCON: