Lo scorso 27 novembre, la sociolinguista Vera Gheno è stata ospite dell’evento “Le parole per (non) dirlo. Strategie di contrasto al sessismo in rete”, all’interno del Festival La Violenza Illustrata.
L’incontro organizzato dalla Casa delle Donne e Cospe, che ha visto la partecipazione di altre studiose, attiviste e giornaliste, verteva sul ruolo del linguaggio nell’educazione alle differenze e su
come prender consapevolezza delle rappresentazioni mediatiche sessiste che si aggirano nella rete,per prevenirle e contrastarle. Abbiamo raggiunto ai nostri microfoni Vera Gheno per parlare di linguaggio e discriminazioni. La sociolinguista di origini ungheresi, si è laureata e addottorata in Linguistica all’Università di Firenze, specializzandosi sulla comunicazione mediata del computer. Nel capoluogo fiorentino
insegna Laboratorio di italiano scritto alla statale, e Sociolinguistica al Middlebury College, mentre all’Università per Stranieri di Siena Applicazioni informatiche per le scienze umane. Collabora con
l’Accademia della Crusca dal 2000, dove al momento si occupa della redazione di consulenza linguistica e del profilo twitter dell’ente. È autrice di tantissimi libri tra cui “Femminismi singolari. Il femminismo è nelle parole” (edito nel 2019 da effequ) e l’ultima uscita di quest’anno “Parolecontro la paura” con la Casa Editrice Longanesi.

Vera Gheno, per un utilizzo del linguaggio consapevole e responsabile

Quando abbiamo intervistato Vera Gheno in riferimento al linguaggio sessista in rete, la sociolinguista è partita da un assunto di base che riguarda la comunicazione tutta: quando si parla o si scrive, le parole chiave da tenere a mente sono consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza,perché dobbiamo essere consapevoli delle parole che usiamo e renderci conto del messaggio che passiamo, e responsabilità, perché dobbiamo tenere a mente che ciò che esprimeremo potrà avere delle conseguenze sugli altri. Se, come nella celebre frase di Nanni Moretti, ci rendessimo conto che “le parole sono importanti”, potremmo fare un passo avanti nel prevenire il problema, al contempo linguistico e culturale, dei discorsi d’odio in rete, che si manifesta in maniera pervasiva nei confronti delle donne.

Il problema dell’odio sessista, che ha assunto una nuova dimensione sui social media, precede la tecnologia ed ha radici nella cultura patriarcale. Come spiega Vera Gheno, nel caso delle questioni di genere è difficile pensare di eradicare gli “ismi” (sessimo e maschilismo), solamente grazie all’uso delle parole, però è importante riconoscere che esse rispecchiano convinzioni e stereotipi tradizionali che innervano la nostra società e dei quali non abbiamo piena consapevolezza. Un esempio lampante si ha nel fatto che gli insulti tipici nei confronti delle donne pertengano alla sfera della condotta sessuale delle stesse, e che per offendere un uomo non ci si riferisca a questa sfera,ma piuttosto si insultino sua madre o sua sorella. Tale asimmetria nel linguaggio ci parla della differenza nel giudizio dei comportamenti e delle possibilità sessuali di femmine e maschi, di una concezione discriminatoria di ciò che si addice ai due generi, che produce disuguaglianza.

Sempre a proposito dei generi, Vera Gheno, ha espresso la sua opinione in merito alla questione sull’utilizzo delle forme usate per non usare il maschile e il femminile, dibattuta da tempo in circuiti ristretti, come nei collettivi LGBTQUIA+ e femministi, e che quest’anno è diventata di dominio pubblico. Da anni in questi contesti si tentano esperimenti linguistici per ovviare al problema del binarismo nel linguaggio – attraverso l’utilizzo di un asterisco, una x, una chioccola, ed altre formule come lo SHWA [ə], caldeggiato dalla Gheno. Infatti, anche quando ci si rivolge a una moltitudine mista con tutte/tutti, eludendo la norma dell’italiano che prevede solo il maschile, non vengono considerate le persone che non si identificano nei due generi – agender, gender queer,fluide o non binarie. Per il momento non c’è una risposta effettiva che possa diventare norma, ma,secondo Vera Gheno, è importante porre la questione e continuare a riflettere per trovare una soluzione, in modo tale che la lingua italiana diventi più inclusiva.
Vera Gheno vorrebbe lavorare per una società che vada perfino oltre l’inclusività mirando “alla convivenza delle differenze”. Per costruirla, bisogna prendersi carico con serietà dei problemi e ascoltare ciò che chi si sente vittima di violenze e discriminazioni linguistiche ha da dire, senza chiudere gli occhi se riguardano una minoranza e non ci toccano personalmente, o peggio ancora minimizzando. Per contrastare la violenza linguistica si deve riconoscerla anche quando si nasconde dietro ad espressioni apparentemente bonarie o scherzose, come ad esempio rivolgersi a una donna di colore con l’appellativo “cioccolatina”, che rimanda a una visione postcoloniale ed è un comportamento linguistico che può ferire.Iniziative come quella che ha visto la partecipazione di Vera Gheno durante il Festival La Violenza Illustrata, rappresentano un esempio di lotta, indirizzata a un processo collettivo ed educativo consapevole del linguaggio, ed insieme a lei, ci auguriamo che si moltiplichino.

Marialuisa Fiori

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