La buridda è un piatto tipico genovese, una zuppa di pesce che mescola ingredienti poveri per ricavarne una pietanza gustosa. Fino a martedì scorso Buridda era anche un laboratorio sociale nel capoluogo ligure, che da dieci anni costruiva relazioni sociali e attività politiche in una struttura abbandonata di proprietà dell’Università, l’ex magistero di via Monte Grappa.
Il 30 luglio, però, davanti al Buridda si sono presentate le forze dell’ordine per sgomberare il laboratorio sociale. La città di Genova ha risposto nel pomeriggio con un grande corteo per il centro cittadino e questo pomeriggio si terrà un’assemblea.

Il Buridda di Genova sgomberato col pretesto di un nuovo studentato con fondi Pnrr

Non è la prima volta che il Buridda subisce uno sgombero. La precedente occupazione si trovava in via Bertani, ex Facoltà di Economia, che fu sgomberata nel 2014 e, da allora, è rimasta vuota in stato di abbandono. Nello stesso anno il Buridda trovò una nuova casa nell’ex magistero, sempre di proprietà dell’UniGe, in via Monte Grappa. Un edificio di chiara architettura fascista, che visto dall’alto ha la forma della M di Mussolini e che sulla facciata, di forma cilindrica, presentava l’acronimo P.N.F., Partito Nazionale Fascista, coperto durante l’occupazione con un polpo, simbolo del laboratorio sociale.

In questi dieci anni il Buridda ha sviluppato molti progetti. Oltre alle attività interne, tra cui anche un laboratorio di falegnameria, una serigrafia, una radio in Am – Radio GrAMma, sono molte le iniziative solidali intraprese da attiviste e attivisti. L’ultima in ordine di tempo riguarda la solidarietà nei confronti della popolazione assediata a Gaza, ma in precedenza il Buridda lavorò anche per aiutare le realtà in difficoltà dopo il crollo del Ponte Morandi.
Episodi di un ricco attivismo dal basso che sono stati spazzati via dallo sgombero di martedì scorso, giustificato da un progetto con fondi del Pnrr per la realizzazione di un nuovo studentato.

«L’Università di Genova ha partecipato a un bando del Pnrr, appaltato a Aliseo, società partecipata dalla Regione Liguria, che attualmente è senza presidente dopo le dimissioni di Toti – spiega ai nostri microfoni Simona del Buridda – Questo bando è stato vinto e prevedono di realizzare nell’ex magistero 66 posti letto al posto di 159mila euro l’uno».
Anche a Genova il tema della casa per studentesse e studenti fuori tema è centrale a causa del turismo e dell’esplosione degli Airbnb, ma tra tutte le strutture pubbliche abbandonate si è scelto un edificio dove si svolgevano attività rivolte anche a studentesse e studenti. «La nella stessa sede di via Bertani, da cui siamo stati sgomberati 10 fa, dovevano realizzare uno studentato, mentre lo stabile è ancora vuoto e abbandonato».

Insomma, una contrapposizione tra istanze sociali, una guerra tra poveri innescata da progetti che movimentano risorse economiche e che non sempre sembrano la soluzione più logica e ovvia.
«Nella Casa dello Studente che è dietro l’ex magistero – racconta l’attivista – ci sono grandi spazi inutilizzati in cui si sarebbero potuti ricavare i 66 posti letto».
Tutto il valore sociale generato dal Buridda, dunque, è stato sacrificato sull’altare dei fondi Pnrr e le istituzioni hanno continuato a ignorare l’importanza di un lavoro svolto dal basso. A testimoniarlo sono le alternative proposte dal rettore: alcuni tunnel e sottoscala nell’Albergo dei Poveri, un’altra struttura gestita da UniGe nella città. «Una proposta totalmente inadeguata per le attività che svolgiamo», sottolinea Simona.

Questo pomeriggio il Buridda sgomberato chiama a raccolta tutte le realtà sociali genovesi per un’assemblea pubblica che avrà anche lo scopo di stringere nuove alleanze e immaginare come opporsi alla deriva normalizzatrice che investe anche il capoluogo ligure.
«Spesso la narrazione che si fa degli sgomberi è di tristezza – osserva Simona – Noi siamo sì arrabbiati, ma non siamo tristi. Noi resistiamo e non molliamo».

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