Se la battaglia per il salario minimo si è arenata il Parlamento, con la destra e il Cnel che hanno smontato la tardiva e insufficiente proposta del centrosinistra, ora è il Comune di Napoli a riaprire la strada per paghe orarie dignitose di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici.
Con una delibera di giunta, l’Amministrazione partenopea ha sancito che negli appalti comunali e negli acquisti pubblici chi lavora deve percepire almeno 9 euro all’ora.

Napoli introduce il salario minimo nei contratti e negli appalti comunali

La delibera è stata adottata su proposta dell’assessora al Lavoro Chiara Marciani e impegna direttamente sia l’Amministrazione che le società partecipate del Comune. Il documento rappresenta «un ulteriore tassello nel quadro delle iniziative volute dal sindaco Gaetano Manfredi per offrire maggiori tutele ai lavoratori», fa sapere il Comune.
Nello specifico, la delibera integra il protocollo d’intesa su sicurezza e legalità negli appalti e nei subappalti, che il Comune di Napoli stipulerà con le organizzazioni sindacali. Lo schema del protocollo d’intesa, approvato dalla giunta l’8 luglio scorso, è finalizzato anche ad assicurare ai lavoratori impiegati negli appalti le migliori garanzie economiche e normative.

«Questa delibera – spiega l’assessora Marciani – contiene anche vincoli sui contratti collettivi che devono essere applicati al personale impiegato nei lavori, nei servizi e nelle forniture oggetto di appalti pubblici, in coerenza con la disciplina prevista dal nuovo Codice dei contratti pubblici».
L’iniziativa nasce da un ordine del giorno presentato dal capogruppo della lista consigliare Napoli Solidale, Sergio D’Angelo. «Una norma di civiltà – la definisce il consigliere ai nostri microfoni – In Italia c’è un vuoto che deve essere colmato con una legge nazionale, ma mentre maturano le condizioni c’è sembrato ragionevole e opportuno, nella capitale del sud, dove il lavoro è più povero che altrove, intervenire su scala locale».

Per D’Angelo la norma non produrrà un maggior esborso da parte delle casse comunali, perché già oggi i capitolati di gara del Comune prevedono retribuzioni superiori ai 9 euro l’ora. Ciò che si andrà ad operare è la correzione di storture operate dalle aziende e «una redistribuzione della ricchezza».
Sono molti gli amministratori locali che, in questi giorni, hanno contattato il Comune di Napoli per avere informazioni sulla procedura amministrativa. A livello politico, quindi, potrebbe nascere dagli enti locali italiani una sorta di campagna che porti finalmente ad avere una legge nazionale sul salario minimo.

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Bologna interessata all’iniziativa di Napoli

Il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, ieri ha sentito telefonicamente il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi in merito alla delibera del Comune di Napoli sul salario minimo.
«Con lui ho voluto confrontarmi brevemente su alcuni dettagli della misura che hanno appena adottato, che valuto di grande interesse – ha fatto sapere Lepore in una nota – Intendo promuovere un gruppo di studio per esplorare se e in che modo questa misura possa essere adottata anche dal Comune e dalla Città metropolitana di Bologna, alla luce degli strumenti già in essere. Sarà l’occasione per rilanciare complessivamente l’impegno del nostro territorio per sostenere il lavoro e il reddito delle persone che lavorano, con equità e capacità di innovare assieme».

Soddisfazione per l’interesse mostrato dal primo cittadino bolognese arriva dagli alleati di Coalizione Civica. In una nota, il consigliere comunale Detjon Begaj ricorda che la lista aveva indicato la medesima strada già nel 2022 attraverso un ordine del giorno collegato al bilancio. «Pur consapevoli delle difficoltà finanziarie e del quadro politico nazionale, che vede un Governo contrario alla proposta di legge unitaria delle opposizioni, crediamo che una città progressista come Bologna debba e possa occuparsene trovando la propria via», ha aggiunto Begaj.

Ai nostri microfoni, Begaj mette però in guardia anche su due possibili rischi connessi al salario minimo introdotto a livello comunale. Il primo è che sia solo una misura spot e che le aziende in appalto trovino il modo di aggirarlo. Per questa ragione sarà necessario formularlo bene anche a livello tecnico, con un lavoro sul corretto inquadramento contrattuale, in modo da evitare quei contratti, come il famigerato multiservizi, che abbiano paghe orarie più basse. Ciò, ad oggi, avviene in diversi settori.

Il secondo pericolo è che, in un momento di taglio ai trasferimenti agli enti locali da parte del governo, il peso di una misura che dà dignità a chi lavora sia tutta sulle spalle dei Comuni, che non sempre potrebbero avere le risorse per sostenerla.
«Nel gruppo di studio che si formerà – conclude Begaj – si dovrà mettere mano anche al protocollo degli appalti, che è del 2019, ed ogni misura dovrà essere sottoposta anche a un confronto con le parti sociali, in modo che, appunto, non sia solo una misura spot».

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