Tra domani e mercoledì probabilmente il Parlamento affosserà la proposta di legge sul salario minimo legale in Italia rimandandolo nei meandri delle commissioni. Il nostro Paese resterà uno dei pochi in Europa a non aver adottato questo strumento che serve a dare dignità a lavoratrici e lavoratori e a contrastare il lavoro povero.
Se il colpo di grazia arriverà dalla destra, che sul salario minimo ha scelto l’ironica strada di farlo affossare da un ente che voleva abolire, il Cnel, non si possono ritenere assolti né i promotori, Partito Democratico in primis, né i sindacati, che dopo averlo avversato per molto tempo lo hanno iniziato a sostenere proprio quando la strada per la sua approvazione sembrava in salita.

Salario minimo, in arrivo lo schiaffo al lavoro povero

Quando il tema del salario minimo è iniziato a circolare in Italia, i sindacati confederali hanno istintivamente mostrato la loro contrarietà. La preoccupazione, allora espressa unitariamente da Cgil, Cisl e Uil, era che lo strumento avrebbe livellato al ribasso i salari orari più alti, ma soprattutto che avrebbe tolto potere concertativo ai sindacati stessi.
Poi le cose sono cambiate, i partiti del governo Conte bis sono andati all’opposizione e la nuova segretaria dem, Elly Schlein, ha scelto di fare del salario minimo una bandiera del cambio di linea del partito stesso.

La proposta avanzata da Pd e M5S, però, mostrava grandi limiti, come spiega ai nostri microfoni Massimo Alberti, giornalista di Radio Popolare. Dalla cifra dei 9 euro lordi, anacronistici rispetto all’inflazione che stiamo vivendo, all’assenza di un meccanismo automatico di indicizzazione, fino al calcolo dei 9 euro lordi considerando anche tredicesime e salario differito e il finanziamento dello Stato del salario minimo con copiosi contributi alle imprese.
Più di ogni altra cosa, però, ha pesato il vuoto attorno ai temi del lavoro del centrosinistra stesso. «Non se ne è occupato – osserva il giornalista – o quando se ne è occupato lo ha fatto in direzione opposta perché, ad eccezione della legge Biagi, dal Pacchetto Treu in poi i provvedimenti che ha adottato non solo hanno aumentato la precarietà, ma hanno creato le condizioni per cui le imprese potessero campare su bassi salari».

Poi c’è il governo Meloni. Presentatosi in campagna elettorale come forza popolare, una volta al potere la destra ha radicalmente cambiato orientamento, allineandosi alla Nato e mutuando buona parte della fantomatica “Agenda Draghi”.
Messa spalle al muro da una misura che sarebbe andata a beneficio delle classi popolari, la premier Giorgia Meloni ha giocato d’esperienza, rinviando di mesi la discussione nel momento in cui, anche grazie ad una raccolta firme che inizialmente ha riscosso un certo successo, la pressione per l’adozione del salario minimo in Italia era forte.

I problemi sul Pnrr, i guai per la manovra economica 2024 e il conflitto in Medio Oriente hanno definitivamente spento l’attenzione sul salario minimo. Ma la ciliegina sulla torta ha un sapore ironico.
Il governo ha scelto di far affossare il salario minimo al Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), un ente che fino a pochi anni fa voleva abolire, ma che ora è presidiato da un ex ministro della destra, Renato Brunetta. In un documento votato a maggioranza dai membri nominati dalla destra e dopo aver bocciato la proposta di quelli nominati da Mattarella, il Cnel valorizza la “via tradizionale” della contrattazione collettiva, bocciando di fatto il salario minimo.

A questo punto in aula la destra avrà gioco facile a bocciare la misura, perché non sarà un voto antipopolare, ma argomentato da uno studio realizzato da “esperti”.
«Ciò che stupisce è che un tema e un discorso così epocale sia stato bruciato dalla politica Italiana in pochissimi mesi – osserva Alberti – La sola mobilitazione con la raccolta di firme non è stato lo strumento più efficace per questa battaglia».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MASSIMO ALBERTI: