L’avvocato Guido Savio dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione spiega perché la riforma del reato di clandestinità approvata ieri dal Senato è inutile: “Procedimento già presente nell’ordinamento”. Falsi i titoli dei giornali che parlano di cancellazione del reato. L’Asgi invece propone misure per l’identificazione in carcere, ma “manca la volontà politica”.
La propaganda della stampa e i compromessi al ribasso della politica gettano confusione attorno al reato di clandestinità, oggetto di una legge delega che ieri ha ottenuto l’approvazione del Senato.
Palazzo Madama ha votato una riforma che prevede che, nel caso in cui un migrante venga fermato per la prima volta senza regolare permesso di soggiorno, il fatto non venga considerato penalmente rilevante, salvo diventare reato se lo stesso migrante viene fermato una seconda volta, sempre sprovvisto di regolare titolo di soggiorno.
Non è vero, quindi, che il reato di clandestinità (o meglio: ingresso e soggiorno irregolare) è stato cancellato, come hanno titolato molti giornali.
Quel che è peggio, però, è che la norma approvata – che ora deve passare per la Camera senza subire modifiche – è completamente inutile.
A spiegare perché è l’avvocato Guido Savio dell’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione). “Oggi succede che se uno straniero viene trovato privo del permesso di soggiorno – spiega Savio – viene immediatamente fatto oggetto di un decreto di espulsione da parte del Prefetto. Se non è possibile accompagnarlo alla frontiera o se non c’è posto nei Cie, come di norma avviene nella stragrande maggioranza dei casi, riceve un ordine di allontamento della Questura entro sette giorni. Se decorsi i sette giorni non se ne va, viene emessa una seconda espulsione”. In altre parole: il procedimento che ha ottenuto il via libera del Senato esiste già.
Anche per impedire l’eventuale carcerazione per il reato di clandestinità, spiega l’avvocato, ci sono già strumenti giuridici: “La sentenza del 2011 della Corte di Giustizia europea sancisce che difficilmente un reato del genere possa essere punito con la detenzione, perché contrasta con l’effetto utile con la direttiva rimpatri”. Se l’obiettivo è espellere un migrante irregolare, infatti, metterlo in carcere ostacola evidentemente il suo rimpatrio.
Ben altro, invece, si potrebbe fare per l’identificazione di migranti irregolari finiti in carcere per altri reati. Attualmente l’identificazione non avviene durante la detenzione, ma il migrante, espiata la pena, finisce per altri 18 mesi in un Cie per essere identificato. “Se ministero della Giustizia e degli Interni collaborassero – osserva Savio – ciò produrrebbe effetti positivi sia per le casse dello Stato, dal momento che la gestione dei Cie è molto costosa, sia per il migrante che non dovrebbe restare rinchiuso per altro tempo”. Non solo: una misura del genere farebbe venire meno l’esigenza dei Cie stessi, dove oggi finiscono sia criminali incalliti, sia persone che erano semplicemente prive di documenti, generando forti tensioni.
Secondo l’Asgi la questione potrebbe essere risolta con un emendamento al decreto svuota-carceri, ma manca la volontà politica.