“Come non si può asciugare l’acqua con l’acqua, non si può spegnere il fuoco con il fuoco, così non si può distruggere il male con il male.” (Lev Tolstoj)
La tragica morte di Ramy e i disordini esplosi nelle città durante le manifestazioni organizzate per chiederne conto e giustizia, hanno sollevato antichi interrogativi sul rapporto tra le istituzioni e i giovani nel nostro paese, in particolare quelli di seconda generazione. Ramy era un ragazzo italiano, milanese, ma indipendentemente da quello che c’era scritto nei suoi documenti, continua, come migliaia di suoi coetanei, a essere vissuto e “raccontato”, dalla politica e dai media, come un estraneo, un “altro da noi”. E come tale deve rimanere, per il legislatore e per il popolino spaventato: ospite sgradito in un paese che è il suo. Il muro contro cui è stato schiacciato rappresenta in modo tragico e puntuale, la barriera sociale che il paese gli ha eretto.
La risposta, pressoché unanime, invocata da amministratori, politici e dalla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica dopo gli scontri di piazza, al solito è quella securitaria e repressiva. L’erosione delle libertà individuali perpetrata, giorno dopo giorno, decreto dopo decreto, da questo governo, soprattutto nei confronti della popolazione giovanile, non pare rappresentare un problema per il benpensantismo oltranzista che impera baldanzoso nel paese. Non è un paese per giovani questo, verrebbe da dire, parafrasando il titolo di un bel film dei fratelli Cohen. Bandite per sempre dal linguaggio comune le parole “ascolto”, “riconoscimento”, “dialogo”, reperti ammuffiti di ideologie passate, tenuti in vita solo da alcuni ostinati e coraggiosi operatori che sui territori provano a mantenere in piedi una qualche relazione con questi ragazzi, così brutti sporchi e cattivi. Ovviamente nessuno assolve devastazioni e violenze gratuite, ma qui si tratta di guardare oltre, non limitarsi al giudizio, di risalire dai comportamenti alla loro causa, per capirli e insieme a chi li esprime, trasformarli. Così si disinnesca la “bomba sociale”, non alimentandola con l’aumento sproporzionato di dispositivi di controllo ed esclusione, ma soprattutto è così che si dà una prospettiva di vita degna a questi nostri giovani concittadini, rendendoli partecipi dei processi di trasformazione dei territori che abitano, le periferie delle nostre città.
Come siamo soliti fare, è quegli operatori che siamo andati a cercare, prediligendo le testimonianze di chi ogni giorno opera nei quartieri, nelle scuole, in strada, creando e praticando processi e percorsi di inclusione, partendo sempre dai bisogni che esprime chi in quei luoghi ci vive. Alberto, Claudio e Lorenzo del collettivo di azione pedagogico-politica CREPA di Alba ci hanno presentato idee e progetti della loro esperienza, in particolare il podcast “Non esistono ragazzi cattivi”. https://open.spotify.com/episode/0us7osIQ35U5ChgPnw71rn Con Andrea Ferrari, educatore e scrittore, coordinatore del “Centro Polifunzionale Polo Ferrara” siamo entrati nel cuore del Corvetto, il quartiere milanese in cui viveva Ramy, con cui in passato ha lavorato.