Il Parlamento italiano, salvo pochi astenuti o contrari, ha approvato ieri il decreto del governo Draghi per inviare armi all’Ucraina. In questo modo deputati e senatori hanno aiutato l’esecutivo ad utilizzare una clausola contenuta nella legge 185 del 1990 che vieta l’esportazione di armi verso Paesi in conflitto.
«Formalmente la legge è stata rispettata – osserva ai nostri microfoni Giorgio Beretta di Opal, che fa parte della Rete Italiana Pace e Disarmo – perché il testo dice che è vietata l’esportazione di armamenti verso i Paesi in conflitto armato, “fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri da adottare previo parere delle Camere“».

Ora Ucraina ma prima la Russia, le armi italiane vendute nonostante l’embargo

Il punto, sottolinea Beretta, è però politico perché i rischi concreti della scelta dell’Italia – che in un qualche modo, anche se per il momento non direttamente con i propri soldati, entra nel conflitto – sono due. Da un lato, infatti, è tutto da dimostrare che l’invio di armamenti, anche se a scopo difensivo, possa aiutare la de-escalation e favorire il cessate il fuoco e il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina. Dall’altro si pone un problema che abbiamo già visto in altri conflitti, come quello in Libia: a chi finiscono quelle armi? «Tra le forze armate che combattono in Ucraina ci sono anche nazionalisti e neonazisti – sottolinea l’esponente di Opal – Non vorrei che quelle armi finissero nelle loro mani».

Il problema però sollevato da Beretta riguarda le responsabilità italiane ed europee nella vendita di armi alla Russia. «A partire dal 2011 l’Italia ha venduto alla Russia 250 blindati tipo “Lince” – sottolinea il pacifista – A quel tempo non c’era alcun divieto, ma ne furono inviati alla Russia altri 83 blindati nel 2015, quando già nel 2014 era stata adottato da parte dell’Unione europea un embargo di armi verso la Russia stessa. L’unica cosa che l’Italia e i Paesi europei, perché il problema riguarda anche Francia e Germania, sembra che sappiano fare è inviare armi. Prima ai russi e adesso agli ucraini».
La vendita di armi all’una o all’altra parte, a seconda della convenienza del momento, rappresenta dunque un problema i cui effetti stiamo vedendo proprio in questi giorni.

A beneficiarne, del resto, sono le industrie belliche, che in questi giorni vedono i propri titoli volare in Borsa. «In tutto il mondo le industrie militari stanno guadagnando in Borsa, a partire dalle industrie americane, ma anche quelle italiane come Leonardo – insiste Beretta – Le azioni di Leonardo negli ultimi tre anni non hanno mai toccato il livello di 8,33 euro per azione che hanno raggiunto in questi giorni. Questo è l’effetto della guerra e tutti lo sanno benissimo».

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