Apertura di stagione per il Comunale di Bologna con “La fanciulla del west” di Puccini. Il pubblico ha apprezzato la straordinaria modernità di questo lavoro pucciniano e il taglio cinematografico della messa in scena del regista Paul Curran sostenuta dalle interessanti scenografie di Gary McCann che attinge, nel primo atto, all’immaginario dei western che tutti abbiamo nella mente e reinterpreta in special modo la selva californiana del terzo atto in modo astratto e molto efficace dando l’idea di un labirinto arido in cui, senza tanti complimenti, si impiccano agli alberi/pali i ladri amministrando la giustizia come pura vendetta. Trionfa la soprano Carmen Giannattasio che debutta nel ruolo di Minnie convincendo sia nei momenti in cui mostra decisione, forza, temperamento, che nei momenti di fragilità e dolcezza; applausi per il baritono Claudio Sgura nei panni dello sceriffo Jack Rance nei quali risulta perfettamente a proprio agio giocando con l’immaginario relazionato alle dinamiche di libretto e partitura, mentre si notano alcune sguaiature negli acuti da parte del tenore Angelo Villari nel primo atto, oltre tutto alquanto incolore nell’impersonare fisicamente l’ambiguo Dick Johnson da Sacramento, personaggio che invece avrebbe permesso caratterizzazioni più marcate e una recitazione più variegata mediante la quale sarebbe risultato più credibile e meno anonimo.

“La fanciulla del west” debuttò a New York nel 1910, in questo titolo Puccini sperimenta un linguaggio musicale nuovo, guardando ai compositori suoi contemporanei e mette in discussione le consuetudini dell’opera italiana, aprendosi a nuove possibilità compositive e di orchestrazione utilizzando melodie folk americane, ritmi jazzistici, facendo costruire finanche uno strumento nuovo, la fonica, per creare timbri misteriosi e inserendo carta tra le corde di un’arpa per imitare il banjo di un cantastorie. Puccini in questa partitura si fa autore pienamente novecentesco continuando ad esplorare le possibilità dei leitmotive wagneriani e mescolando la classica ossatura narrativa del trittico amoroso con elementi innovativi come il “parlar cantando” dei protagonisti che si approssima al Debussy del Pelléas et Melisande: si tratta di un conversare declamato che mescola risa, grida, grugniti lontanissimi dall’uso lirico delle voci, dalle arie in cui la voce pienamente si spiega ed espande. Altra novità la presenza di numerose figure di comprimari che si distinguono per le loro diverse personalità e caratteristiche differenziandosi dal coro indistinto di uomini che affollano la “Polka”, il locale di proprietà della bella Minnie in cui si ritrovano a bere, a giocare a carte e a scommettere, i minatori, cercatori d’oro. Siamo a metà ottocento, il tempo della corsa all’oro in California. Nel locale di Minnie si radunano uomini provenienti da diverse parti del mondo attratti dalla febbre dell’oro. Si alternano momenti musicalmente concitati per le scommesse, le discussioni che degenerano in risse e momenti di grande commozione come quello in cui un cantastorie canta una melodia nostalgica che fa ricordare a tutti quei rudi minatori le loro famiglie lontane, le loro terre d’origine. Si alzano sospiri, mezze parole, fino al pianto dirotto di uno di loro che non resiste più alla fatica di quella vita e chiede aiuto economico a tutti i compagni per poter partire e tornare a casa rinunciando al sogno di ricchezza. Emoziona il coro a bocca chiusa dei minatori come tutti i momenti musicali o i gesti attoriali in cui emergono le debolezze di questi uomini che monoliticamente immaginiamo brutali e avidi. Tutto il primo atto sembra un atto di accusa delle condizioni disumane, di fatica, di privazione cui i cercatori d’oro erano sottoposti da cui si originano sia i pianti e il dolore interiore, che scatti d’ira e la violenza cieca. Il ritmo è serrato, la situazione cambia continuamente su uno sfondo di cielo che si intravede da una porta aperta sul tramonto e in un ambiente naturale che immaginiamo imperturbabile, anche se è il fuori rispetto al locale, che non vediamo, ma che abbiamo nella mente dalla visione di decine di film.

All’apice di una rissa scatenatasi per decidere chi dovesse primeggiare nel cuore di Minnie è proprio lei che entra dalla porta alzando al cielo un fucile e vestita di rosso con il cinturone in cintura e un soprabito da conquista del west, appunto. Il regista Curran ha ambientato l’opera negli anni ’20 del ‘900 omettendo quindi pesanti vestiti ottocenteschi con il corsetto, per rendere libero il corpo di Minnie, libero come è libera lei nella mente perché potesse apparire “padrona del mondo e del proprio fisico”, come ha dichiarato lo stesso Curran in conferenza stampa. Quello di Minnie è davvero un personaggio interessante, una vera proto femminista perchè è una donna che si fa valere ed ascoltare, che legge e che avrebbe voluto avere ben più “che trenta dollari soli di educazione” come spiega allo straniero Johnson. “Se studiavo di più, che avrei potuto essere?” si chiede, come se lo sono chiesto milioni di donne in tutto il mondo costrette all’epoca, nelle fasce più povere della popolazione, ad accontentarsi di nessuna istruzione o di un’istruzione elementare. E’ una donna curiosa, che vuole sapere e che nei momenti in cui i minatori sono impossibilitati a lavorare per le condizioni climatiche avverse, fa loro “accademia” improvvisandosi maestra. Sulla scena, sedata la rissa infatti tira fuori la bibbia e fa lezione catturando l’attenzione di tutti. L’insegnamento di quel giorno è sulla redenzione: “non v’è, al mondo, peccatore cui non s’apra una via di redenzione…”. Minnie è anche una sognatrice e attende il primo bacio romanticamente. Invita Jonson ad andarla a trovare nella sua casa quando smetterà di lavorare e attendendolo è emozionata e si mette le scarpe della festa, e si agghinda con i fiori, con spirito del tutto diverso da quello che si è visto al suo ingresso in scena sedando la rissa in corso. Carmen Giannattasio è molto brava nel rendere tutte le sfumature del personaggio, le sue indecisioni, la dolcezza, come anche la sua fermezza e il suo coraggio nell’affrontare Rance reclamando il diritto di proprietà su Johnson quando lo sceriffo lo scoprirà nascosto in casa sua dopo aver saputo che egli è in realtà il bandito ricercato Ramerrez che tutti stanno cercando perché venuto a rubare l’oro dei minatori.

Questa prima di stagione presentava molti rischi, a sentire la tensione del sovrintendente Macciardi nell’annuncio a Radio 3 del giorno antecedente, presenziando in giuria al concorso canoro “largo ai giovani”, non solo Giannattasio non aveva mai prima interpretato il ruolo di Minnie, ma anche il regista e il direttore d’orchestra affrontavano quest’opera per la prima volta. Tutto l’ufficio di regia è risultato al termine esente da fischi e anzi, è stato accolto con favore, il direttore d’orchestra Riccardo Frizza ha convinto pienamente riscuotendo applausi convinti anche prima del finale, ad ogni rientro in scena a inizio atto è stato giustamente omaggiato. La sua direzione ha permesso di gustare pienamente la complessità dell’opera e tutti i suoi elementi di interesse musicale che permettono a noi nel 2024 di scoprire il Puccini novecentesco e di trovarlo assolutamente innovativo rispetto ad altre sue opere più note. Anche tanti del pubblico, me compresa, hanno sentito quest’opera per la prima volta e si sono forse messi nei panni di chi nel 1910 la sentì al debutto assoluto. Puccini con “la fanciulla del west” ha sicuramente tentato qualcosa di inedito ed è stato chiaro ai recensori del New York Times che non era il solito Puccini. L’opera allora non divenne popolare, gli si rimproverava il fatto che che ci fosse troppo Debussy in quella partitura mentre “la musica… deve inseguire l’azione e cercar di tenere il passo con il dialogo”. Quel diverso equilibrio tra parola e musica qui sperimentato da Puccini seguendo il “parlar cantando” di Debussy deve aver spiazzato il pubblico che si attendeva altro. Oggi ascoltando quella musica, dopo aver masticato tutto quello che da allora è stato prodotto in campo musicale, apprezziamo molto di più le novità, rispetto al pregresso, che si notano nelle sonorità, nelle melodie che appaiono esotiche con l’utilizzo delle scale per toni interi, esotiche come quelle della Madama Butterfly, ma ancora più stranianti per la presenza anche di ritmi inediti in questo repertorio derivanti da danze afro- americane e dal folclore americano. Colpisce la resa sonora della neve che scende, il vento che soffia e la sonorizzazione di tensione della partita a carte con Rance del secondo atto, apice della vicenda, un ticchettio continuo che ha un potere cinematografico, davvero sorprendente con l’esplosione poi delle percussioni alla risoluzione della partita con gli squilli dei fiati alla vittoria di Minnie della posta, che era la vita del bandito e suo amato Johnson.

Ma proprio quello che a noi colpisce oggi come esotico, come frutto di una cultura lontana e intrigante non piacque ai newyorkesi del 1910 che non si riconobbero nell’ambiente descritto da Puccini, che risultava falso, non corrispondente alla realtà del loro eroico passato così come, notava Gianandrea Gavazzeni in un saggio del 1958 dedicato alla Fanciulla del west riproposto nel libretto di sala, “nessun giapponese riconoscerebbe il Giappone in Butterfly. … Puccini raccoglie con apparente scrupolo temi o ritmi giapponesi, americani, cinesi.” Non è il realismo che interessava a Puccini, egli crea un ambiente che è vero nel mondo da lui inventato, non descrive la realtà di quel mondo, Gavazzeni precisa “un ambiente poeticamente esatto”. Queste reinvezioni teatrali, cinematografiche oggi ci suonano molto familiari e la musica risuona come straordinariamente novecentesca e perciò moderna rispetto a un repertorio precedente, il nostro primo ascolto (per quanti lo è stato) dunque non comporta il dover superare un cambio d’orizzonte spiazzante, ma ha il sapore di un ritrovamento di tratti che associamo alla rivoluzione musicale del ‘900 e che sorprendono perché diversi dalle opere più rappresentate sui palcoscenici lirici.

Piacevolissima serata che appassiona musicalmente per i motivi qui espressi, per la bravura di tutto il cast di solisti nonché del coro, sempre ben diretto dalla Maestra Ansini, dell’orchestra e per la regia accattivante e cinematografica eppure anche rispettosa del libretto, non ultimo per il glamour proprio della prima di stagione, con sfoggio di abiti da sera nel foyer.

Biglietti disponibili per le prossime repliche fino al 30 gennaio con notevoli sconti under 18 e under 30 e over 65 acquistabili su vivatiket o alla biglietteria del teatro aperta dal martedì al venerdì dalle 12 alle 18, il sabato dalle 11 alle 15 (Largo Respighi, 1); nei giorni di spettacolo al Comunale Nouveau (Piazza della Costituzione, 4/a) da un’ora prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio.