A fine gennaio è stata finalmente raggiunta una intesa per il rinnovo del contratto della cooperazione sociale. L’ultimo era datato 2019, si possono ben comprendere attesa e aspettative dei lavoratori coinvolti, circa 400.000, la maggior parte dei quali con un ruolo centrale nel welfare socio-assistenziale e sanitario di casa nostra. La speranza che animava l’attesa dell’accordo era molta. Riuscire finalmente a veder riconosciute fatiche, sacrifici e formazione, con un riconoscimento economico capace di valorizzare questa categoria e di portarla fuori dall’indegna situazione di chi, pur lavorando, non arriva a fine mese, era qualcosa di più d’un auspicio.
Ma cosa c’è realmente dentro a quell’intesa? Quali le novità di rilievo? Lo abbiamo chiesto a Stefano Sabato, FP Cgil, coordinatore nazionale cooperazione sociale. Al suo commento abbiamo sottoposto le criticità più evidenti che emergono a una prima lettura (un incremento salariale del 12% che non recupera ciò che ha eroso l’inflazione, nessun arretrato per gli anni di vacanza contrattuale, una quattordicesima spezzatino che però a regime non supererà il 50%, la vergogna delle notti passive che non scompaiono, ma vengono un tantino edulcorate con un bonus di presenza ecc.).
Siamo facili profeti nel dire che non sarà questo contratto a far uscire dalla condizioni di lavoratore povero chi opera nella cooperazione sociale. Poi, certo, è tutto il sistema che non regge più e alcune cooperative stanno già mettendo le mani avanti dicendo che neppure lo applicheranno questo rinnovo, pena la loro scomparsa. Se non si aumenteranno gli investimenti, se non si supererà la logica delle gare d’appalto al ribasso, se non si smetterà di penalizzare le fragilità sociali con politiche di tagli e ridimensionamento, anche dai futuri rinnovi non arriverà che qualche elemosina e l’unica cosa certa è che proseguirà la fuga delle persone da questo settore verso altri con maggiori tutele contrattuali. Probabilmente, vista anche la scarsa attenzione della classe politica attuale verso le politiche sociali e sanitarie, anche le organizzazioni sindacali dovrebbero cominciare a interrogarsi sui risultati, davvero miseri (e non solo per la nostra categoria) della pratica concertativa.