L’attuale sistema di attribuzione del cognome paterno ai figli “è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia“, e di “una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.
Lo afferma la Corte costituzionale in un’ordinanza in cui mette in dubbio la legittimità costituzionale dell’articolo 262 del Codice civile che stabilisce come regola l’assegnazione ai figli e alle figlie del solo cognome paterno.

Cognome del padre, l’assegnazione automatica è un retaggio patriarcale

Già pronunciatasi sul tema del 2016, la Corte costituzionale ci torna poiché interpellata dal Tribunale di Bolzano, che chiedeva un giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo del codice civile.
In particolare, il Tribunale di Bolzano era stato chiamato a decidere su un ricorso per ottenere la rettificazione dell’atto di nascita di una bambina i cui i genitori, non uniti in matrimonio, avevano concordemente voluto attribuire il solo cognome materno.
Un accordo che, nel merito, si scontrava con quanto stabilisce la legge. Una parte della norma, infatti, non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno.

Il quesito che la Corte ha sollevato presso se stessa è quindi riassumibile nella domanda: “l’accordo dei genitori sul cognome da dare al figlio può rimediare alla disparità fra di loro se, in mancanza di accordo, prevale comunque quello del padre?”.
La stessa Consulta, nella pronuncia n. 286 del 2016, aveva riconosciuto la possibilità di aggiungere al patronimico il cognome della madre, mentre nel caso in discussione oggi la volontà di entrambi i genitori è volta all’acquisizione del solo cognome materno.

«In realtà quella della Corte costituzionale non è una sentenza, ma è un annuncio di sentenza che verrà – osserva ai nostri microfoni Angela Gennaro, giornalista di Radio Bullets ed Open – La Corte però sostiene che la questione vada analizzata a 360° perché riguarda anche le conseguenze di una mancata scelta. Cioè: se non c’è un accordo tra i genitori, perché non c’è la possibilità di dare il cognome materno, dal momento che l’articolo 3 della Costituzione dice che tutti i cittadini sono uguali senza distinzioni di sesso?».

La giornalista sottolinea un’analogia con il tema del fine vita. Anche in quell’occasione la Consulta fu costretta ad intervenire e a sostituirsi al legislatore, invitando (purtroppo inascoltata) il Parlamento stesso ad occuparsi del tema.
Il fatto che la Corte costituzionale usi un lessico – come “retaggio patriarcale” – tuttavia, «fa capire che questa non è più una battaglia di bandiera – sottolinea Gennaro – ma è una questione del tutto attinente con i tempi che sono profondamente cambiati. Ormai la società civile è pronta all’uguaglianza».

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