La Guardia di Finanza ha sequestrato 779 milioni di euro a Airbnb, la principale piattaforma per gli affitti brevi. Le fiamme gialle hanno eseguito un procedimento della Procura di Milano, che accusa la società di non aver pagato le tasse per la cedolare secca per cinque anni, nel periodo tra il 2017 e il 2021.
«Bene il sequestro – commenta ai nostri microfoni Fabio D’Alfonso di Pensare Urbano – ma non basta solo l’azione della Procura di Milano».

Il contenzioso e l’accusa di non aver pagato la cedolare secca: il sequestro a Airbnb

L’iniziativa penale arriva dopo i pronunciamenti della Corte di Giustizia Ue e del Consiglio di Stato e fa seguito a un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate per una norma risalente al 2017, il dl 50.
La legge impone alle piattaforme di fare da sostituto d’imposta per gli host che affittano le proprie case per brevi periodi, trattenendo, e poi versando, il 21% sui guadagni (la cedolare secca) che i titolari sono tenuti a pagare al fisco. La piattaforma, però, avrebbe incassato solo le imposte degli host professionali e le tasse di soggiorno che versa ai Comuni, mentre terrebbe per sé i costi del servizio trasmettendo agli utenti il loro margine e fornendo l’elenco di tutti i movimenti per la dichiarazione dei redditi.

In questo modo, contestato dall’Agenzia delle Entrate, Airbnb non ha responsabilità su quanto gli utenti versino o meno al fisco, mentre nel caso facesse da sostituto d’imposta il versamento sarebbe automatico e garantito.
Airbnb ha impugnato la norma prima presso il Tar, poi il Consiglio di Stato aveva coinvolto la Corte di giustizia dell’Ue. Quest’ultima a dicembre scorso ha stabilito che l’Italia può chiedere alle piattaforme di raccogliere informazioni e dati sulle locazioni effettuate e di applicare la ritenuta alla fonte prevista dal regime fiscale nazionale.

Sulla base di questa pronuncia la Procura milanese ha proseguito l’indagine ed ha appurato che la società non ha versato, nel periodo che va dal 2017 al 2021, le imposte relative a oltre 3,7 miliardi di euro di incassi, di cui il 21% della cedolare secca è appunto la cifra posta sotto sequestro: 779 milioni di euro.

«Con il rifiuto di Airbnb di fornire dati, anche fiscali, si creava una sorta di doppia evasione – osserva ai nostri microfoni Fabio D’Alfonso di Pensare Urbano – Da un lato c’era l’evasione dei proprietari immobiliari che non pagavano la cedolare secca, dall’altro Airbnb stessa, che con enormi profitti sul territorio italiano, ma avendo sede fiscale in Irlanda, non versava quasi nulla al fisco».
L’attivista per il diritto all’abitare si dice quindi contento dell’intervento della Procura di Milano, tuttavia questo non può essere il solo strumento di azione nei confronti delle piattaforme.

«La politica dovrebbe capire intanto come reinvestire ogni centesimo che viene riscosso da Airbnb, che per me andrebbe impiegato per l’aumento e il miglioramento delle case popolari – osserva D’Alfonso – Poi si dovrebbe trovare una sorta di legge, anche su base europea, sulla base della quale queste piattaforme possano essere strutturate in maniera strutturale, perché sono piattaforme che estraggono enormi ricchezze dai nostri territori senza poi però redistribuirle».

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