«Nessuna pace per chi vende morte». È con questo slogan che il prossimo 2 giugno a Genova scenderà in piazza l’Assemblea contro le guerre, che dà appuntamento alle 14.00 alla stazione marittima per un corteo che, nel giorno della Festa della Repubblica, prende posizione «contro le guerre, frontiere e capitale».
L’Assemblea consiste in una rete di realtà impegnate sia sul tema dell’assistenza ai migranti, come il Progetto 20K, sia nell’opposizione all’invio di armi, come il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp), ma anche da centri sociali genovesi, associazioni studentesche e realtà femministe.

Un 2 giugno antimilitarista: la manifestazione di Genova

«Mentre bollette e inflazione lievitano a livelli mai visti – si legge nel comunicato che promuove la mobilitazione – dopo anni di tagli al welfare il governo aumenta le spese in armamenti al 2% del pil, nuove basi militari vengono finanziate in fretta e furia con i soldi del Pnrr, le armi vengono vendute senza iva: in pochi giorni è stata messa in piedi una vera economia di guerra a nostre spese».
Gli organizzatori puntano il dito contro grandi media, aziende, “oligarchi” nostrani, partiti e governi, che «si mostrano oggi coesi nel promuovere la decisione umanamente e politicamente scellerata della corsa al riarmo».

La riflessione che ha portato all’indizione del corteo trascende dalle forze contestualmente impegnate nella guerra in Ucraina, ma sottolinea le contraddizioni che riguardano le frontiere. «Il corteo nasce da un ragionamento sulle frontiere – osserva ai nostri microfoni Andrea del Progetto 20k – Nasce dal pensiero di come le guerre siano causa delle migrazioni forzate e spesso vengano dimenticate e fatte delle differenze in base alla provenienza e alla legittimità di questa guerra e di scapparne, ma poi si espande ad altri temi che ciascuna realtà porterà in piazza».

Nell’analisi prodotta dall’Assemblea, si sottolinea che «quella delle armi è una filiera ampia, che vede coinvolti come beneficiari del business mortifero diversi segmenti delle élites, che non vedono l’ora di spartirsi una fetta del bottino bellico». Dalle università che ricevono ingenti fondi per approfondire la ricerca tecnologica, passando per gli armatori delle navi e gli enti proprietari di porti, strade e ferrovie che trasportano questa merce, fino ai media che alimentano una narrazione russofobica e filo-Nato per legittimare una guerra che conviene solo a pochi. «Così, mentre la povera gente muore in Ucraina, come in Yemen come in Palestina, brindano gli azionisti miliardari della nostra filiera bellica», osservano gli organizzatori.

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