Nonostante la strage di Cutro e il clamore che ha provocato, l’Italia è di nuovo nell’occhio del ciclone per i ritardi nei soccorsi ad imbarcazioni in difficoltà nel Mediterraneo. A perdere la vita, questa volta, sono state 30 persone – allo stato attuale formalmente disperse – che erano a bordo di una barca rovesciatasi al largo di Bengasi, nella cosiddetta zona Sar libica.

Secondo Alarm Phone, il contatto di emergenza in supporto alle operazioni di salvataggio, il nostro Paese ha esitato troppo a lungo nell’inviare navi mercantili per prestare soccorso ai naufraghi. «Evidentemente, le autorità italiane stavano cercando di evitare che le persone venissero portate in Italia – scrive Alarm Phone – ritardando l’intervento in modo che la cosiddetta guardia costiera libica arrivasse e riportasse con la forza le persone in Libia, nelle condizioni di tortura da cui avevano cercato di fuggire».

Nuovo naufragio, Alarm Phone accusa l’Italia di aver rallentato i soccorsi

La denuncia di Alarm Phone nei confronti dell’Italia è contenuta in un comunicato che ricostruisce nel dettaglio quanto accaduto. Tutto comincia nella notte tra il 10 e l’11 marzo, quando il contatto di emergenza viene allertato da 47 persone su un’imbarcazione in pericolo. Viene comunicata la posizione Gps, che risulta nella cosiddetta zona Sar Libica, e viene comunicata alle autorità italiane, maltesi e libiche.
La Guardia Costiera libica, però, dice di non poter intervenire perché non ha mezzi a disposizione. Alarm Phone chiede all’Italia di ordinare di intervenire ad una nave mercantile che si trovava nelle vicinanze.

Le navi mercantili che si sono portate in prossimità dell’imbarcazione in difficoltà sono state quattro ma, sottolinea Alarm Phone, «per molte ore si sono limitate a monitorare la situazione senza intervenire». E il sospetto è proprio che da Roma non arrivasse l’ordine di intervenire per evitare che i naufraghi venissero portati in Italia. «L’ultima comunicazione con le persone a bordo è avvenuta alle ore 06:50 del 12 marzo – sottolinea Alarm Phone – Erano esauste e disperate, gridavano e chiedevano aiuto».
Poco dopo l’imbarcazione si è capovolta e solo 17 persone sono sopravvissute, soccorse dalla nave mercantile Froland, mentre 30 hanno perso la vita.

La versione della Guardia Costiera italiana

Le autorità italiane hanno fornito una ricostruzione di quanto accaduto. In particolare, viene confermato che il primo mercantile direttosi verso il barchino è stato il Basilis L, che però comunicava «di avere difficoltà a soccorrerli a causa delle avverse condizioni meteo nella zona». A questo punto Roma avrebbe «inviato un messaggio satellitare di emergenza a tutte le navi in transito», prosegue la ricostruzione.
In particolare, sono altri tre i mercantili arrivati nella zona. «Le operazioni di trasbordo dei migranti iniziavano alle prime luci dell’alba da parte di uno dei 4 mercantili che avevano raggiunto il barchino in difficoltà».

«Durante le operazioni di soccorso da parte della motonave Froland – continua il Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma – il barchino durante il trasbordo dei migranti si capovolgeva: 17 persone venivano soccorse e recuperate dalla nave mentre risultavano dispersi circa 30 migranti». Le autorità italiane, però, precisano che «l’intervento di soccorso è avvenuto al di fuori dell’area di responsabilità Sar italiana registrando l’inattività degli altri Centri Nazionali di coordinamento e soccorso marittimo interessati per area».

Nella ricostruzione della Guardia Costiera italiana, però, tutto comincia 9 ore dopo il primo sos lanciato, in particolare quando ad avvistare il barchino è stato l’assetto aereo Seabird 2 di Sea Watch. Tra il primo allarme e il soccorso vero e proprio sono passate 28 ore, mentre tra l’avvistamento aereo e il soccorso ne sono passate 19.

Zona Sar libica e soccorsi, cosa prevede la legge internazionale

Per capire se l’Italia abbia o meno delle responsabilità sul ritardo dei soccorsi è necessario sapere cosa prevede la legislazione in materia. «La normativa di riferimento è la Convenzione di Amburgo, la cosiddetta Convenzione Sar, che regola la ricerca e il soccorso in mare – spiega ai nostri microfoni il professor Luca Masera dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione – Questa convenzione divide tutte le acque del Mediterraneo in zone di competenza dei diversi Stati».
Il naufragio è avvenuto in zona Sar libica, quindi la prima competenza sarebbe spettata alle autorità libiche.

«La Convenzione però prevede che quando uno Stato o non sia in grado di soccorrere o non abbia la volontà di farlo – aggiunge Masera – gli altri Stati hanno il dovere giuridico di assumere il coordinamento dei soccorsi. Quindi quando si dice che l’Italia non aveva competenza, non è vero».
Nello specifico, di fronte ad una risposta da parte libica di non avere mezzi necessari, l’Italia era chiamata a supplire, assumendo il coordinamento dei soccorsi, come poi effettivamente avvenuto. Ciò che è oggetto di discussione, però, sono le tempistiche.

Non solo. La Libia da alcuni anni ha unilateralmente proclamato la propria zona Sar (Search and Rescue, ricerca e soccorso), pur senza averne i requisiti. È un tema controverso e giuridicamente molto dibattuto, perché il Paese non rappresenta e non può rappresentare il “porto sicuro” in cui portare i naufraghi soccorsi, soprattutto per la presenza dei centri di detenzione in cui avvengono torture e violazioni dei diritti umani.
In altre parole, l’esistenza stessa della zona Sar libica è una violazione del diritto internazionale ed è funzionale alla politica di esternalizzazione delle frontiere di Italia ed Europa.

Ma cosa significa “dovere giuridico” dell’Italia nel coordinamento dei soccorsi? «Il mancato intervento comporta, a livello internazionale, una responsabilità per non aver adempiuto ai propri doveri – spiega Masera – Poi c’è un ulteriore profilo che riguarda la responsabilità dei singoli attori, dei singoli ufficiali dello Stato. Se ci saranno delle indagini, bisognerà vedere se qualcuno di coloro che erano coinvolti nella catena dei soccorsi ha omesso il proprio dovere e questo può portare a un rimprovero in sede penale».

ASCOLTA L’INTERVISTA A LUCA MASERA: