All’Arena del Sole fino al 5 novembre in scena “Diari d’amore” approdo alla regia teatrale di Nanni Moretti con due atti unici di Natalia Ginzburg: Dialogo e Fragola e panna. Testi di cui si sentiva la mancanza sulle scene, testi che con grande ironia ed una strana leggerezza da chiacchiera, affrontano i drammi più privati delle vite di donne e uomini. Un cast di prim’ordine sostiene l’idea registica di Moretti e affronta quello che Natalia Ginzburg chiamava “spavento” ovvero lo scarto tra l’intimità della parola scritta e il clamore della parola detta di fronte a un pubblico in teatro.

Era ora di riportare in scena lo sguardo giocoso e profondo di Natalia Ginzburg di cui personalmente avevo potuto visionare solo vecchie messe in scena delle teche RAI delle più celebri commedie. Ci ha pensato Nanni Moretti a mettere in scena questo spettacolo che ha debuttato a Torino lo scorso 9 ottobre e che è arrivato a Bologna questa settimana prima di arrivare a Modena e di affrontare quindi una tournee in tutta l’ Italia e in Francia.

I due atti unici mettono in scena delle strane famiglie, quelle che va di moda chiamare “disfunzionali”, tra risate e momenti di angoscia Ginzburg dipinge un quadro desolante di coppie sposate che non si amano più e che non provano nessuna empatia per il destino dell’altro pur un tempo amato. Assistiamo a una continua altalena tra momenti di gioia, di progettualità e brusche cadute verso un abisso di solitudine e sconforto. La rabbia per i torti subiti dal coniuge infedele diventano presto indifferenza verso di lui o lei e forse anche verso la propria stessa vita ormai vuota e inutile. Questa constatazione della propria e altrui inutilità avviene sia quando la coppia, vive senza grandi agi, da intellettuali che faticano a restare a galla come ne “la vita agra”, sia quando essi vivono nel lusso senza preoccupazioni economiche derivanti da una eventuale definitiva separazione.

Dialogo si svolge interamente in una camera da letto, una mattina che si era avviata come tante, nell’attesa che arrivasse la domestica a preparare la colazione e a prendersi cura della piccola di Francesco e Marta, interpretati rispettivamente da Alessia Giuliani e Valerio Binasco. Chiacchierando sotto le coperte di come saldare i debiti accumulati con il licenziamento di lui, i due coniugi arrivano a fare progetti, immaginano possibili futuri successi di Francesco quando avrà finito il romanzo che sta scrivendo e possibili sviluppi positivi dell’incarico avuto da Marta alla Tv per un documentario. I progetti lavorativi o di vacanza ruotano tutti attorno a un amico di nome Michele e alle sue conoscenze. La mattina come tante assume tutta un’altra coloritura quando lei riesce a liberarsi di un peso confessando al marito di essere innamorata, ricambiata, proprio di Michele. Le speranze di lui di migliorare la propria condizione, di arrivare a cambiare casa e vivere felice con la moglie si infrangono davanti ai sogni di lei che aspira a una agiata vita in campagna con Michele portandosi via anche la comune figlia. Risate in un profluvio di parole ci portano fino ad ulteriori rovesciamenti delle sorti di entrambi lasciando in bocca il gusto fresco della leggerezza e al contempo l’amaro della sconfitta. La mattina grigia come le altre ha assunto per un momento tinte forti e contrastanti gravide di un futuro incerto fuori dalla solita routine, o forse no. Tutto potrebbe rientrare nella norma in fin dei conti, anche se nell’animo dei due protagonisti c’è stato un tumulto che li avrebbe potuti allontanare definitivamente.

Fragola e panna prende il titolo dal gelato preferito della giovane amante di Cesare, interpretato sempre da Binasco, che piomba all’improvviso nella villa di campagna dove lui vive con la moglie Flaminia (Alessia Giuliani) , se pure in una convivenza ormai senza più amore. Barbara, l’amante, inpersonata da Arianna Pozzoli, bagnata e infreddolita si presenta con una valigia chiedendo del cugino, l’avvocato Cesare. La domestica, la bravissima Daria Deflorian, la investe come una valanga di parole, narrandole tutta la sua vita, le sue angoscie e confidandole il suo disagio a lavorare in quella grade casa isolata dove nemmeno riceve apprezzamenti dai padroni per quanto fa per loro. Abilmente la serva, così si definisce ella stessa, si fa raccontare dalla giovane la sua storia solidarizzando con lei abusata dal marito e scappata dalla finestra. Ma la serva è l’unica a provare un sincero interesse per le sorti della giovane. Flaminia appare in sua presenza fredda e senza cuore, riesce solo a concederle qualche soldo e un pasto caldo prima di farla andar via. La sorella di Flaminia, sopraggiunta, dimostra un minimo di empatia e porta la ragazza in un posto sicuro dove il marito non la trovi. Rimaste sole le due donne, Flaminia viene colta da un rimorso di coscienza e si preoccupa per la giovane rimasta sola, anche se a tratti sembra continuare a ritenere le sorti della giovane non un suo problema. Al suo rientro a casa anche Cesare dimostra una totale indifferenza per il futuro della ex amante ritienendo tra l’altro improbabile che il marito l’uccida, avendolo individuato come inoffensivo e arrivando addirittura a concepire come un sollievo l’eventualità che Barbara si suicidi.

Questo riassunto della vicenda non rende ovviamente giustizia al testo di Ginzburg che colpisce per il suo linguaggio ricco, denso e pieno di sfumature che vanno continuamente verso l’ironia e virano poi verso attimi di crudeltà, per tornare ad una fredda disamina dei fatti e riprendere nuovamente la chiave ironica e così via. Assistiamo ad una scrosciante conversazione da salotto a cui viene voglia di intervenire, unendosi alla discussione dei protagonisti che appare inarrestabile.

Colpisce nel secondo atto unico il tema della violenza sulle donne trattata con uno sguardo forse differente a quello che useremmo oggi. Nessuno sembra scomporsi al racconto che la giovane fa delle ripetute botte prese dal marito quando egli scopre la sua infedeltà. Un certo allarme desta solo la narrazione del tentativo di strangolamento da parte dell’uomo verso la diciottenne da parte delle signore. Cesare, da vero maschio intriso di mentalità patriarcale dichiara pazza e bugiarda l’amante e dichiara innoquo il marito. Sorprende la frase della sorella di Flaminia quando asserisce che nessun marito realmente uccide la moglie e veniamo “confortate” rispetto alla nostra precedente indignazione di spettatrici odierne solo quando Flaminia afferma che invece ne sono pieni i giornali di mogli uccise dai mariti.

Non ci conforta affatto che anche nel 1966, anno in cui Ginzburg scrive Fragola e panna ci fossero tanti femminicidi, per usare il termine con cui oggi identifichiamo questa fattispecie di omicidio che vede vittime donne in quanto donne. Lascia perplessi il modo in cui i personaggi parlano di violenza domestica, come se fosse una cosa normale a cui sottostare, come se non ci fosse una via d’uscita alla normalità delle botte di un marito tradito e come se fosse normale tornare a casa dopo aver subito un tentato omicidio. Torna il tema dell’indifferenza, della mancanza di empatia per le vite altrui, già apparso nel primo atto unico messo in scena, se pure con qualche differenza tra i diversi personaggi e con qualche rimorso di coscienza passeggero. Anche in questo brano potrebbe prodursi un cambiamento nella vita delle persone coinvolte, potrebbe esserci una svolta, ma nuovamente, dopo una situazione conflittuale e l’accenno a una separazione, tornano la noia, il silenzio della casa di campagna, le lamentele della domestica senza nessun reale cambiamento nella vita dei presenti.

Lo spettacolo è divertente, coinvolgente, si ride molto ma si viene anche colpiti da stilettate di dolore in alcuni momenti che fanno desiderare per le nostre personali vite una realtà meno soffocante e giornate meno fredde di affetti e di clima. Non si può non essere d’accordo con Valerio Binasco che in conferenza stampa, parlando della scrittura dell’autrice ha affermato “La Ginzburg ha una penna leggera, ma scava gli animi, e i suoi sono personaggi ritratti con incredibile maestria psicologica, degna di autori come Čechov”.

Quello della Ginsburg viene definito “teatro delle chiacchiere” perchè mette in scena dialoghi fiume, specie tra donne, anche se è lei stessa a dichiarare nella nota introduttiva alla sua raccolta “Tutto il teatro” (Einaudi) che dopo le prime commedie in cui “c’erano donne che chiacchieravano instancabilmente” aveva preferito poi rappresentare “delle donne silenziose. Chiacchieravano allora gli uomini. Nelle mie commedie, in tutte, ci sono personaggi di cui si parla molto e che non compaiono mai. Tacciono, essendo assenti. Così c’è qualcuno che tace.”

A tacere in Dialogo è il famoso amico e amante Michele, in Fragola e panna è il marito di Barbara continuamente evocato che rimane tuttavia fuori scena. A tacere in questi due atti unici è anche la coscienza dei protagonisti che dopo un piccolo sussulto e moto d’orgoglio torna silenziosa per acquattarsi nella norma senza clamore. Ginzburg non ci fa amare particolarmente nessu personaggio, se non forse solidarizzare con le domestiche presenti in quasi tutte le commedie di cui ho memoria, però riesce a farci ridere delle debolezze degli uomini e delle donne che rappresenta, in cui riconosciamo tratti di realtà che conosciamo e dai quali contiamo di distanziarci forse raggiungendo un grado di maggior sensibilità nei confronti delle persone che abbiamo accanto e forse anche semplicemente imponendoci di rispettare noi stessi e noi stesse più di quanto facciano i suoi personaggi.

  • Spettacolo da inseguire in ogni tappa di tournée per chi non avesse modo di vederlo questa settimana a Bologna.