È l’iniziativa di un privato, ma per lanciarla si sono scomodati il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, i sottosegretari bolognesi Lucia Borgonzoni e Galeazzo Bignami, il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e il sindaco di Bologna Matteo Lepore.
Tutti a spellarsi le mani per gli applausi all’iniziativa di Francesco Bernardi, presidente di Tremagi Holding, proprietaria di Illumia: la realizzazione in via Carracci, in Bolognina, del Museo della Cultura Italiana.
La presenza delle istituzioni, in realtà, era giustificata dalla firma di un protocollo. In particolare, Comune, Regione e Ministero entreranno in una fondazione che verrà creata ad hoc per gestire il museo.

«Quale civiltà italiana?», le perplessità sul patriottismo nel nome del Museo della Cultura Italiana

«Citando testualmente il comunicato, l’obiettivo è creare un luogo dove i visitatori possano fare esperienza della civiltà italiana», osserva ai nostri microfoni Salvatore Papa, giornalista che ha seguito la vicenda e ne ha scritto su Zero.eu.
Una definizione che lascia molte interpretazioni. «Cos’è la civiltà italiana? – chiede Papa – L’italianità nel 2024 è un concetto difficile da definire, sono questioni delicate. Ad esempio: si racconterà solo quello che gli italiani hanno fatto di buono o anche di cattivo? L’italiano nel mondo non è solo ciò che ci raccontiamo a casa nostra».

Una leva sul patriottismo, insomma, che fa storcere il naso, anche per il luogo in un cui verrà realizzato il museo, la Bolognina, che è il quartiere più multiculturale di Bologna.
Insomma, dal punto di vista concettuale, il made in Italy è una retorica che sembra più vicina alla destra di governo, che gli ha pure dedicato un Ministero. Sorprende, quindi, che Comune e Regione si facciano coinvolgere senza eccepire sull’impostazione dal sapore un po’ nazionalista.
«È chiaro che il museo sarà una sorta di grande spot a tutte le cose migliori», pronostica Papa.

Non solo museo: il business col pretesto della cultura

In realtà il museo sarà solo una parte dell’operazione urbanistica, che vedrà un concorso internazionale di architettura per la realizzazione di un edificio su un’area di 12mila metri quadrati che prevede anche un auditorium da 800 persone, ristoranti, bar, book shop, uffici, depositi, parcheggi e (parrebbe) una foresteria.
L’obiettivo in termini visitatori, del resto, è ambizioso: tra le 1000 e le 2000 persone al giorno, che potrebbero giungere facilmente anche grazie alla vicinanza con la stazione AV e il terminal del People Mover.
«Chiaramente passa per un’operazione culturale – osserva il giornalista – però per rientrare dell’investimento il privato ha bisogno di generare un po’ di entrate e se non ce la fanno i biglietti da soli, c’è bisogno di qualcos’altro».

Le domande di Papa, però, riguardano il perché le istituzioni pubbliche abbiano deciso di entrare in una partita che nasce da un privato. «Negli ultimi anni la cultura è stata spesso utilizzata come booster per spingere alcune operazioni immobiliari. Nel lungo periodo, in un luogo come la Bolognina dove già ci sono grandi cambiamenti, dove insistono alcuni interessi immobiliari e dove ci saranno altri due musei, quello sulle case popolari e il polo della cultura democratica, credo che sia anche legittimo da parte del proprietario privato sperare che quell’area cresca di valore».
Un’operazione, dunque, non dissimile da Fico, ma con alcune importanti differenze. Il Museo della Cultura Italiana, infatti, non sorgerà nell’estrema periferia, ma a due passi dalla stazione di Bologna, e al centro non ha il cibo, ma la “cultura italiana”.

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