Per la prima volta Bologna, per la precisione Palazzo Albergati, ospita la più importante mostra mai realizzata su Antonio Ligabue, uno degli artisti italiani più popolari del ‘900. A curarla sono Francesca Villanti e Francesco Negri, quest’ultimo in continuità col lavoro di suo padre, Sergio Negri, che, dalla scomparsa di Antonio Ligabue nel 1965, si è dedicato alla salvaguardia della sua produzione artistica. La mostra è stata inaugurata il 21 settembre e proseguirà fino al 30 marzo 2025.
Antonio Ligabue, una vita travagliata e l’arte come riscatto
Nato a Zurigo nel 1889 da madre di origine bellunese e da padre ignoto, Antonio Ligabue (già Antonio Laccabue) viene dato subito in adozione ad una famiglia svizzera. Già dall’adolescenza manifesta alcuni problemi psichiatrici che lo portano, nel 1913, a un primo internamento presso un collegio per ragazzi affetti da disabilità. Dopo varie vicissitudini la madre affidataria, aggredita, decide di denunciarlo ottenendone l’espulsione dalla Svizzera il 15 maggio 1919 e il suo invio nel comune di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia.
Ligabue non parla l’italiano, è incline alla collera e incompreso dai suoi contemporanei, viene soprannominato “el Matt” dagli abitanti di Gualtieri che ne rifiutano i dipinti e il valore artistico, costringendolo a prediligere la via dell’alienazione e della solitudine. In quegli anni tormentati e inquieti di vagabondaggio l’arte è il suo rifugio per esprimere il suo disagio esistenziale.
«Si accorgono già durante il suo primo ricovero del suo talento artistico – racconta Villanti – Abbiamo testimonianza di un documento medico in cui lo psichiatra che lo tiene in cura si accorge che l’unico modo per farlo stare sereno è dargli una matita e farlo disegnare. Quindi viene fuori da subito questa sua capacità, che non è solo una capacità, è proprio un bisogno di esprimersi disegnando».
I sentimenti che hanno attraversato Ligabue in una vita così amara hanno quindi trovato espressione nella sua arte. «Pur essendo obbligato ad abitare in Italia, lui si sentiva svizzero e nella sua arte, per tutta la sua vita, l’elemento Svizzera l’ha sempre inserito – osserva Negri – Anzi, quando cominciò a pitturare in modo costante, in tutti i soggetti bucolici sezionava il quadro in due fasi ben precise: il primo piano con l’animale e i caratteri del paesaggio padano, sullo sfondo i paesaggi gotici tipici della Svizzera, specificando proprio San Gallo, città della Svizzera da cui proveniva». Trovava serenità nella rappresentazione del lavoro nei campi e degli animali, che amava molto e sentiva fratelli.
La mostra a Palazzo Albergati
La mostra, con oltre 100 capolavori, tra cui alcune straordinarie opere inedite, offre una panoramica completa della produzione di Antonio Ligabue, sviluppandosi in senso cronologico e nel solco di quell’intreccio indissolubile fra vita e opera che caratterizza l’artista svizzero.
«La mostra è il risultato di anni di ricerca, di anni di lavoro – spiega Villanti – Quello che abbiamo cercato di far vedere attraverso le opere scelte con grande cura e attenzione è come lavorava Ligabue, che tipo di artista è stato, quali erano le sue fonti. Quindi è un racconto su un duplice binario: da una parte la vita, perché proprio questa sua vita difficile è il motore che lo porta poi a realizzare queste opere così forti, così violente. E dall’altra parte, da un punto di vista storiografico, siamo andati ad analizzare quelle che erano le sue fonti».
L’esposizione mostra l’evoluzione pittorica dell’artista, in quanto l’opera di Ligabue è stata divisa in tre periodi: il primo è quello dell’incertezza, dei colori tenui; il secondo è quello in cui scopre il colore e la materia grassa; il terzo periodo, quello dei dettagli, quando ogni cosa la cura in modo maniacale e dove emergono i suoi tratti espressionistici.
«Con questa mostra riusciamo, così, a dimostrare che Antonio Ligabue, pur con una partenza primitiva, alla fine del suo percorso può essere definito un grande pittore espressionista», osserva Negri.
ASCOLTA L’INTERVISTA A FRANCESCA VILLANTI E SERGIO NEGRI: