Hanno fatto parlare molto di sè perché sono stati capaci di scoperchiare nuove forme di sfruttamento che passano dal digitale, la cosiddetta Gig Economy, ma anche perché si sono autorganizzati per rivendicare diritti per un lavoro che, almeno all’inizio, le tradizionali organizzazioni sindacali nemmeno conoscevano. Sono i riders, i ciclofattorini delle piattaforme di delivery (le consegne a domicilio), che da anni animano una battaglia che tiene banco a livello mondiale.

A raccontare la loro vicenda, con un focus particolare sulla vertenza di Riders Union Bologna, è Nicola Quondamatteo, giovane antropologo e autore del libro “Non per noi ma per tutti” (Asterios Editore). Oltre al tema, un elemento originale del testo riguarda la sua genesi. Lo studio che ha portato al libro, infatti, nasce per la tesi di laurea magistrale dell’autore, ma oltre agli strumenti di ricerca accademici dell’etnografia, molta della conoscenza dei meccanismi di funzionamento della Gig Economy viene da un’esperienza sul campo: Quondamatteo, infatti, ha trovato occupazione proprio come rider in una piattaforma di delivery.

È così che si può misurare in cosa consiste la “dittatura dell’algoritmo”, che trasforma i lavoratori in numeri ed assegna loro un rating sulle prestazioni, stilando una classifica che, tradotto in parole povere, decide se e quanto puoi lavorare. Un meccanismo spietato che però il capitalismo digitale ha tentato di camuffare con una dose cospicua di marketing, spacciando il lavoro di fattorino come un hobby per fare sport all’aria aperta e al tempo stesso guadagnare qualche soldo. L’obiettivo era essenzialmente uno: risparmiare il più possibile sul costo del lavoro per massimizzare il profitto.

Il titolo del libro è uno slogan utilizzato spesso dai riders. “Sta a significare che la battaglia dei riders è simbolica ed emblematica e non riguarda solo la loro categoria – spiega Quondamatteo – Parla del cottimo, che riguarda anche i giornalisti nelle redazioni, parla delle valutazioni, che riguardano anche i precari dell’università e della ricerca, parla della fuga dalle regole dei contratti collettivi e del lavoro subordinato, che riguarda intere categorie, le false partite iva, i voucher e così via”.

Nel libro vengono ricostruiti tutti i passaggi salienti della lotta dei riders, dal primo sciopero come rifiuto a lavorare quando nevicava, passando per l’ottenimento della Carta di Bologna, fino all’interessamento dell’ex-ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che promise tanto ai ciclofattorini, ma nel concreto ha realizzato ben poco.
Una battaglia che ha portato a tante piccole conquiste, come l’aumento della paga, la maggiorazione durante i week end e prime forme di tutela assicurativa, ma che, nell’opinione dell’autore, necessità di una legge nazionale. “C’è stata un’iniziativa legislativa regionale del Piemonte – osserva Quondamatteo – sottoscritta da Pd, centrosinista e M5S, che andava nella direzione del riconoscimento dei diritti del lavoro subordinato. Ora che al governo nazionale c’è quella stessa maggioranza, si apre uno spazio per fare diventare quella una legge dello Stato”.

La peculiarità dei riders sta anche nella forma scelta per condurre le proprie battaglie: l’autorganizzazione. Da un lato, questo testimonia come il sindacato tradizionale sia arrivato tardi, ma non per questo non potrà farsi interprete delle istanze di questi lavoratori. Dall’altro, però, l’autorganizzazione ha permesso ai riders di muoversi in modo efficace su vari fronti. “Grazie alla forma da movimento sociale è stato possibile mettere in campo meccanismi di mutualismo – osserva l’autore – Ritmolento ed altri spazi sociali hanno offerto spazi ai riders per svolgere le proprie assemblee, ma anche una ciclofficina per prendere a prestito una bicicletta qualora la propria fosse danneggiata”.
Proprio a Ritmolento verrà presentato il libro. L’appuntamento è alle 19.00 di questa sera.

ASCOLTA L’INTERVISTA A NICOLA QUONDAMATTEO:

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