Nella giornata di ieri sia il presidente statunitense Joe Biden che il premier italiano Mario Draghi sono intervenuti sulle forniture di vaccini ai Paesi poveri. Quest’ultimo, in particolare, ha promesso che entro l’anno l’Italia metterà a disposizione 45 milioni di dosi, mentre Biden ha parlato di 500milioni di dosi e uno stanziamento di 370milioni di dollari, ma entro un anno.
Finalmente la questione della vaccinazione dei Paesi poveri entra nei discorsi dei leader mondiali, anche perché una strategia che non tenga conto dell’immunizzazione dell’intero globo potrebbe risultare controproducente.

Vaccini, la situazione in Africa è preoccupante

A preoccupare è la possibilità che si sviluppino nuove varianti del Covid per le quali gli attuali sieri in circolazione non garantiscano copertura. E la moltiplicazione del virus è favorita in contesti, come il continente africano, dove l’accesso ai vaccini rimane scarsissimo.
«Al 20 settembre scorso appena il 4% della popolazione in Africa aveva completato la vaccinazione – spiega ai nostri microfoni Roberta Rughetti, responsabile dei programmi di Amref – Le persone africane che hanno ricevuto una dose sono appena il 6% e per molti Paesi sarà impossibile raggiungere l’obiettivo di arrivare al 10% entro la fine di settembre».

Sono 816 milioni le persone da vaccinare in Africa, mentre ad agosto 2021 erano stati consegnati appena 130 milioni di dosi, a fronte di 1,5 miliardi necessari per vaccinare almeno il 60% degli africani. Di questo passo è stato calcolato che per arrivare all’obiettivo sarebbero necessari almeno tre anni, con tutte le conseguenze che questi ritardi comporterebbero.

I temi evocati dalla referente di Amref sono tre. Da un lato c’è l’egoismo dei Paesi ricchi, che fino a questo momento hanno avuto l’unica priorità di vaccinare la propria popolazione, accapparrandosi quasi tutte le dosi disponibili sul mercato grazie al potere economico che potevano esercitare.
Rughetti, però, evoca anche il tema dei brevetti, che continuano a rappresentare un ostacolo per l’aumento della produzione di vaccini.
Infine, ma non è un aspetto secondario, c’è la questione dei servizi sanitari dei Paesi africani e della formazione del personale locale.

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