«Troppo a lungo gli Stati Uniti hanno portato il peso maggiore all’interno dell’Alleanza ma tutto questo finisce oggi». Sono le parole di questa mattina del segretario generale della Nato, Mark Rutte, al vertice dell’Alleanza Atlantica che sancisce un aumento delle spese militari al 5% del pil per i Paesi membri. Una dichiarazione che fa il paio con l’sms dello stesso Rutte al presidente statunitense Donald Trump e pubblicato da quest’ultimo. «Stai volando verso un altro grande successo all’Aia questa sera – si leggeva nel testo – Non è stato facile, ma li abbiamo convinti tutti a firmare per il 5%».

Il regalo della Nato di Rutte a Trump: l’aumento delle spese militari al 5% del pil

In due frasi il segretario della Nato fornisce due conferme: la Nato ha un padrone, gli Stati Uniti, e i cosiddetti alleati sono ad essi semplicemente subalterni e la proposta dell’aumento delle spese militari sono un regalo che viene fatto a Trump. Elementi che portano Giorgio Cremaschi di Potere al Popolo ad esprimere un durissimo giudizio sui leader occidentali, ma anche ad affermare che la Nato rappresenta «un pericolo per il mondo e ora anche per i suoi popoli, perchè vuole tagliare le spese sociali per le spese militari».
A calcolare quanto ammonta l’impegno di spesa per l’Italia con spese militari al 5% del pil era stato già l’Osservatorio Milex, che aveva prefigurato uno scenario da 145 miliardi di euro l’anno contro i 32 attuali.

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Nonostante la contrarietà delle opinioni pubbliche al riarmo e all’aumento delle spese militari, i leader europei dei Paesi Nato hanno di fatto siglato l’accordo che porterà ad un aumento spropositato delle risorse investite in armamenti. E per giustificarlo presso i propri cittadini non hanno speso molti ragionamenti. Ad andare per la maggiore sono allarmi costruiti ad hoc, falsi dogmi o il ricorso a frasi fatte, come quella citata da Giorgia Meloni, il motto latino “Si vis pacem para bellum”, clamorosamente disattesa dai fatti eppure ritenuta sufficiente per giustificare la scelta.
Le uniche due nazioni ad avere avversato pubblicamente l’aumento delle spese militari al 5% del pil risultano essere Spagna e Slovacchia.

La dissidenza della Spagna: Sanchez prende tempo

A raccontare ai nostri microfoni la natura dell’obiezione della Spagna è, da Barcellona, Luca Tancredi Barone. Il giornalista spiega che negli anni ’80 la stessa entrata nella Nato fu al centro di un acceso dibattito a sinistra. I socialisti spinsero per l’entrata, che avvenne ma senza entusiasmi.
Nonostante ciò, la Spagna ha sempre avuto spese militari piuttosto basse, circa attorno all’1% del pil. Le pressioni della Nato degli ultimi mesi, però, hanno portato il premier spagnolo Pedro Sanchez ad accettare un aumento al 2% del pil, generando non poche discussioni e non pochi malumori con la componente di sinistra della coalizione che sostiene Sanchez.

Un ulteriore aumento, addirittura fino al 5% del pil, per il governo Sanchez però avrebbe voluto dire tirare troppo la corda, in particolare in un momento in cui due presunti scandali di coalizione hanno coinvolto uomini molto vicini a lui.
«Sanchez si è impegnato a firmare il documento finale del vertice Nato – spiega Tancredi Barone – ma ha trattato sulla parte che stabilisce gli impegni. Potrebbe essere questione di lana caprina o di giocare con le parole se poi l’impegno da rispettare è portare la spesa per gli armamenti al 3,5% più un 1,5% per la sicurezza. Sanchez vorrebbe concedere al massimo un 2,1%, ma per Rutte è troppo poco».
Il tentativo, dunque, sembra quello di prendere tempo perché, sottolinea il giornalista, «magari fra due anni Sanchez non ci sarà più».

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