Questa ridicola legislatura non poteva che avviarsi alla sua conclusione con la ridicola e caricaturale estenuante ricerca all’ultimo voto a sostegno di questo governo. Intravedo una certa somiglianza con le vicende parlamentari degli ultimi governi liberali, di un centinaio di anni fa. Ai tempi degli ultimi governi liberali il Presidente era spesso sull’orlo della crisi di fiducia, perché allora non c’erano dei veri partiti, ma nell’agone semicircolare di Palazzo Madama o di Palazzo Carignano a Torino si sfidavano due entità tra loro molto simili e i cui esponenti erano accomunati da sentite appartenenze, non solo socioculturali ma anche e sopratutto di visione politica. Si trattava dei partiti liberali della destra e della sinistra storica. Silvio Berlusconi mi sembra un novello Sydney Sonnino costretto a mediare tra tutte le sfumature liberali presenti nel Parlamento del 1906. Allora come oggi il trasformismo è un moto dell’anima. Si entra in Parlamento per un colore si è rieletti nell’altro schieramento, tanto non cambia poi molto.

A centanni di distanza scopriamo alcune coincidenze. Allora come oggi tutti i parlamentari erano orientati da medesime idee politiche di fondo, il liberismo come totem e la certezza molto positivista che il mercato avrebbe risolto tutti problemi. Eppure non c’era la benché minima armonia e il Parlamento era spesso un campo di battaglia. I parlamentari non si dividevano per ideologia o per partito ma si creavano delle maggioranze sempre nuove in base a quale fosse l’argomento in discussione. Ciò era dovuto principalmente al fatto che i parlamentari si facevano alfieri di piccole istanze territoriali del loro collegio o delle volontà di qualche importante lobbie di potere, o dei loro stessi tornaconti personali. Oggi possiamo dire sia cambiato qualcosa? Certo nel recente passato ricordiamo una politica ben diversa, al cui centro stavano le idee, spesso contrastanti, sul futuro e sulla società. Dopo 17 anni di governucoli pare siamo riusciti a riportare indietro di centanni le dinamiche parlamentari e di gestione del potere. Altre curiose coincidenze. Nel 1906 entrarono in Parlamento in due, sx e dx storica, teoricamente pochi partiti anche grazie al porcellum: nel 2008 entrarono solo in cinque: Pdl, Lega, Udc, Pd, Idv più qualche parlamentare per le minoranze linguistiche. Ecco il paradosso, dalle dinamiche parlamentari furono esclusi partiti reali e le loro istanze, ma in Parlamento abbiamo scoperto l’esistenza di decine di microscopici partitini nascosti nei partiti maggiori, vitali alla sopravvivenza del Presidente del Consiglio con i loro piccoli ricatti, al pari dei gruppetti di parlamentari frondisti nella dx e sx storica che decisero le dimissioni di Sonnino. Viste le analogie, sappiamo che fine abbiamo fatto dopo i governi liberali. Oggi non ci sono più le ideologie, ciò che conta è solo l’interesse personale. In questo parlamento infatti non c’è un solo parlamentare eletto che metta in discussione la legittimità delle agenzie di rating, o i dettami europeo-liberisti della Bce, o una politica industriale gestita dalla finanza internazionale che vuole l’Italia desertificata e la vede solo come luogo per turisti abbienti. Con toni differenti sugli aspetti chiave sono tutti d’accordo.

Ma i vari BersaniDiPietroVendola non si faccino distrarre dall’esteriorità di un capo del vapore che mostra ormai i suoi acciacchi. Sappiano piuttosto che ci sono ottime probabilità che se il governo di larghe intese progettato, quello che dovrebbe includere anche terzo polo, Udc e scontenti Pdl, dovesse scontentare anche gli italiani con misure economiche impopolari, Silvio potrebbe risorgere come la fenice di letteraria memoria e alle elezioni successive rivincere per l’ennesima volta contro tutti i pronostici dei giornalisti, degli scienziati politici e degli opinionisti quotati.

Silvio in termini elettorali non è finito. E’ finito da anni in termini politici. La sua è una politica che non ha mai cercato di risolvere i problemi del paese. Ma la metà degli italiani non se n’è mai accorta. Proprio per questo motivo i vari BersaniDiPietroVendola non pensino già al comando. Sopratutto se hanno intenzione di far pagare la crisi ai più deboli, come nelle intenzioni dichiarate di Pietro Ichino del Pd. Perché gli italiani davanti alla brutta copia della destra liberista e anti sociale, preferiscono sempre l’originale.

Silvio ormai una macchietta popolare più che un primo ministro, si ostina pervicacemente a non scendere dalla poltrona a costo di esserne disarcionato dai fedelissimi, ormai stufi pure loro della commedia. La politica di Berlusconi è stata del tutto simile alla politica dei vari governi democristiani da lui tanto derisi e scherniti. La mediazione è sempre stata la sua forza e i piccoli favori elargiti a questo o a quello sono sempre stati la moneta di scambio per le sue leggi vergogna. Berlusconi ha quasi concluso il suo tempo. E ha rinunciato a una dipartita onorevole e di tutto rispetto. Se si fosse deciso a farsi da parte senza clamore, cosa inedita per lui, ne sarebbero stati danneggiati quanti finora lo hanno disegnato come un pagliaccio e avrebbe potuto riacquistare in prospettiva una certa autorevolezza, che ha recentemente perso, annegata tra i tanti scandali e scandalucci. Ha rinunciato perciò all’ultimo scorcio di possibile dignità. Andremo all’ennesima conta. Tra deputati comprati e di nuovo scappati, oppositori a parole più che nei fatti, a omucoli dal dubbio profilo istituzionale un giorno nel Pdl, il giorno dopo nell’Udc e nel futuro chi lo sa, magari nell’Api. Berlusconi, degno capo di questa indegna politica, che tale non si può più definire, minaccia fino all’ultimo e gonfia il petto. “Chi non voterà la fiducia, non tradirà me ma l’Italia”. No, l’Italia è stata già tradita da tempo. Questa che abbiamo sotto gli occhi è solo una triste commedia, come l’orchestrina che suonava intanto che il Titanic Italia sta affondando.