Tra le norme del nuovo pacchetto sicurezza del governo Meloni figura un provvedimento che riguarda le donne. Qualora queste compiano un reato che prevede la carcerazione, viene meno il diritto alle pene alternative al carcere qualora siano in stato di gravidanza o abbiano un figlio o una figlia fino a un anno di età. In altri termini, le donne considerate a rischio recidiva verranno detenute anche se incinta e dovranno scegliere se separarsi o meno da figlie e figli per non costringerli a stare in carcere con loro.
La misura voluta dal governo viene definita «razzista e classista» da chi vi si oppone. Non a caso, infatti, con questo provvedimento, definito “norma anti donne rom”, si vuole colpire il fenomeno dei taccheggi o dei borseggiamenti agito dalle fasce più povere e fragili della popolazione.
Il Pacchetto Sicurezza e la repressione di madri e donne incinte: la campagna “Donne Fuori”
Già prima dell’approvazione in Consiglio dei ministri del pacchetto sicurezza, in Italia era partita la campagna “Madri fuori”. Tutto nasce da uno scontro in Parlamento tra una proposta del Pd di ampliare la possibilità di accesso a pene alternative per le madri di bimbi piccoli. La destra, in particolare Fratelli d’Italia, non solo si è opposta alla proposta, ma ha rilanciato con un ddl per togliere la potestà genitoriale a tutte le donne condannate per reati superiori ai 5 anni di pena.
Già allora, un gruppo di donne e associazioni si opposero a questo accanimento, lanciando la campagna “Donne Fuori”, la cui capofila è la Società della Ragione.
Nel pacchetto sicurezza, in particolare, vengono ristrette le possibilità di pene alternative al carcere previste oggi per le donne in stato di gravidanza o madri di figlie o figli fino a un anno di età. «Il ddl dice che non devono essere concesse queste possibilità alle donne che sono a rischio recidiva – spiega ai nostri microfoni Susanna Ronconi della Società della Ragione – Ma tra le detenute in Italia la recidiva non riguarda le donne che fanno reati gravi, quanto quelle in carcere per reati minori, come piccoli furti agiti dalle donne rom, dalle donne più povere o quelle che fanno uso di sostanze». Tutte categorie già marginalizzate o fragili, ma il punto dell’intero impianto del pacchetto sicurezza è proprio questo: rispondere a problemi sociali non con il welfare ma con la repressione.
Un ulteriore aspetto che non viene preso in considerazione dal governo è l’impatto che vivere in carcere può produrre su bambine e bambini, che si configurano come le prime vittime della stretta repressiva.
«Le madri si trovano di fronte a un’alternativa che è drammatica – sottolinea Ronconi – O separarsi dai loro figli per evitare loro di stare in carcere o mantenere la relazione imponendo loro il carcere. Le leggi vigenti tendevano a evitare alla madre un’alternativa drastica. Purtroppo la destra va nella direzione opposta».
ASCOLTA L’INTERVISTA A SUSANNA RONCONI: