Negli Stati Uniti si è aperto il processo per l’omicidio di George Floyd da parte della polizia. Era il 25 maggio del 2020 quanto l’afrodiscendente è stato soffocato con un ginocchio da un agente di polizia di Minneapolis e il video della sua lenta agonia non solo ha girato il mondo suscitando indignazione, ma ha scatenato fortissime proteste della comunità nera (e non solo) e l’ascesa del movimento Black Lives Matter sia negli Stati Uniti che in altri Paesi del mondo.
A dieci mesi dall’uccisione di Floyd abbiamo intervistato Oiza Queensday Obasuyi, giornalista ed autrice del libro “Corpi estranei – Il razzismo rimosso che appiattisce la diversità” (ed. People).

Razzismo, dieci mesi “tosti” e di rivelazione

«Sono stati dieci mesi tosti – osserva ai nostri microfoni la giornalista – Da un lato è la storia di sempre per chi è attento e per chi è nero, sia negli Stati Uniti che in Europa. Ma è stato anche il periodo della rivelazione, perché in un certo senso l’omicidio di George Floyd è stato una sorta di risveglio di determinate coscienze che si sono accorte che il razzismo esiste».
Obasuyi però sottolinea che molto dell’interessamento per il tema del razzismo è stato momentaneo, legato all’ondata degli hashtag sui social network, più che a una vera consapevolezza.

L’autrice nel suo libro parla proprio di “antirazzismo performativo“, a sottolineare come, seppur a volte in buona fede, la questione del razzismo non venga colta nella sua reale portata, quella di un fenomeno sistemico e culturale, e purtroppo riguarda ben più persone di quelle che si definiscono apertamente razziste.
«Quando i gesti sono eclatanti, come l’attentato di Luca Traini a Macerata o le svastiche disegnate sui centri di accoglienza, quello è un razzismo evidente per cui tutti ci indignamo – osserva Obasuyi – Però c’è un razzismo strisciante di cui la maggioranza non si rende conto».
Per far comprendere il problema, la giornalista cita ad esempio quanto accaduto recentemente in Rai, dove l’attrice Franca Valeri ha detto di non risconoscersi in una foto, perché «sembro ne+ra».

Forme di razzismo inconscio, proprio perché endemico, culturale e strutturale, riguardano tutti, anche chi si definisce non razzista. E ciò è dovuto anche alla mancata decostruzione che la maggioranza bianca dovrebbe invece fare, in Italia ad esempio facendo i conti una volta per tutti con il colonialismo italiano, per il quale si continuano ancora a giustificare le gesta dei protagonisti.
Un altro esempio di quanto il razzismo ci riguardi tutti attiene al protagonismo. Sono innumerevoli i panel, i dibattiti e gli incontri in cui si parla di razzismo o di migranti senza chiamare ad esprimersi le persone direttamente coinvolte dal problema.

Black Lives Matter e Joe Biden

Una delle richieste di Black Lives Matter durante le manifestazioni dell’anno scorso riguardava il razzismo strutturale della polizia statunitense. “Defund the police” o “Abolish the police” erano gli slogan gridati in piazza e il dibattito sul definanziamento della polizia statunitense ha tenuto banco per diverse settimane.
«Ho forti dubbi che Joe Biden raccolga quelle istanze – sottolinea la giornalista – Effettivamente una misura radicale del genere servirebbe, perché il sistema è completamente marcio, ma vedo Biden come un esponente centrista e moderato e non so se accoglierà mai quell’istanza».

ASCOLTA L’INTERVISTA AD OIZA QUEENSDAY OBASUYI: