Dalla Lombardia, Concetta ci racconta perché sostiene con convinzione il referendum per la scuola pubblica promosso da articolo 33. “Partecipiamo tutti!”, conclude, convinta che il cambiamento innescato da Bologna possa e debba coivolgerci tutti.

 

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Caro diario,
a proposito di scuola pubblica e scuole private paritarie, anzitutto io credo che i cambiamenti partano dal basso, e il referendum bolognese lo dimostra.
Ma partiamo dalla situazione attuale: in Italia oggi (dati MIUR 2009) le suole statali rappresentano il 74,6% del totale, quelle paritarie il 24,1%. La nostra Costituzione all’art. 33 recita, tra l’altro, “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. La legge n°62 del 10/03/2000 emanata all’epoca del governo D’Alema e dell’allora ministro Berlinguer, definisce cosa si intende per scuole paritarie e introduce la possibilità di finanziarle.
Come mamma di un bimbo in età scolare, ho, in teoria, due possibilità: iscrivere mio figlio in una scuola pubblica o in una scuola paritaria (nella maggior parte dei casi con orientamento religioso cattolico). Ho chiesto informazioni ad alcune scuole paritarie (vivo nella provincia di Bergamo): le rette per la scuola dell’infanzia variano dai 340,00 ai 450,00 euro mensili escluse altre spese per attività non obbligatorie e l’importo aumenta quando si passa alla scuola elementare. Ho sentito dire che per la scuola dell’infanzia ci sono anche rette che si aggirano sui 180,00 – 200,00 euro mensili. Vista la situazione economica attuale molte famiglie non possono sostenere queste spese per cui la scelta è solo teorica perché si è obbligati a rivolgersi alla scuola pubblica, saccheggiata negli ultimi anni. Possono scegliere solo le famiglie che hanno un reddito adeguato. A queste scuole non possono accedere tutti. Allora come mamma e come cittadina di questo Paese mi chiedo: perché lo Stato, ma anche le regioni e i comuni, finanziano delle scuole che non possono essere frequentate da tutti?