Il centro di Pavullo, in provincia di Modena, si è allagato ieri sera dopo l’esondazione del torrente Cogorno. La scorsa notte i fiumi Secchia, Enza e Panaro nel reggiano sono stati monitorati con attenzione speciale e qualche preoccupazione. L’Emilia Romagna, ad un anno di distanza dall’alluvione, si scopre ancora fragile e non pronta ad affrontare le conseguenze della crisi climatica.
Crisi climatica, un territorio ancora fragile in attesa del piano regionale
Dopo l’alluvione del maggio del 2023, la Regione Emilia-Romagna e la struttura commissariale hanno elaborato un piano preliminare che dovrebbe avere lo scopo di attrezzare il territorio alle nuove condizioni climatiche, fatte di eventi estremi e precipitazioni molto intense. Si tratta di interventi strutturali, come l’allargamento dei fiumi o le delocalizzazioni di attività presenti in aree a rischio, che dovrebbero rendere l’Emilia-Romagna meno esposte a conseguenze come quelle che hanno conosciuto i cittadini romagnoli l’anno scorso.
«È importante che ci sia stata una riflessione sulla gestione dei fiumi in Regione – osserva ai nostri microfoni Paola Fagioli del consiglio direttivo di Legambiente Emilia Romagna – Occorre fare un ragionamento complessivo. Noi abbiamo avviato un osservatorio che riguardava in particolare l’area colpita dall’alluvione dello scorso anno e all’interno dell’osservatorio abbiamo dato alcune indicazioni che la Regione pare aver colto».
La prima cosa da fare riguarda ovviamente la possibilità di dare più spazio ai fiumi dove è possibile e riguarda anche la delocalizzazione, che è un argomento delicato, soprattutto quando si parla di edilizia privata, ma fondamentale.
«Abbiamo anche chiesto che vengano rivisti i piani urbanistici nel momento in cui le previsioni di edificazione riguardavano aree che erano già state colpite dall’alluvione di maggio 2023 – continua Fagioli – anche perché i cambiamenti climatici hanno portato a cambiamenti importanti e generali e non possiamo più far conto su quello che avveniva fino a cinque\sei anni fa».
Si tratta comunque di interventi che non avranno una immediata applicazione, perché sono lavori che richiedono tempo e si vanno ad aggiungere ai primissimi interventi di messa in sicurezza del territorio avvenuti in Romagna dopo l’alluvione.
Ai cittadini emiliano-romagnoli restano quindi due cose da fare: seguire costantemente il sistema di allertamento, che nel frattempo si è fatto più preciso e puntuale, e sperare che la pioggia non provochi disastri come quelli a cui abbiamo assistito fino a quando il territorio non sarà pronto a fronteggiare le nuove condizioni dettate dalla crisi climatica.
ASCOLTA L’INTERVISTA A PAOLA FAGIOLI: