Una prima manifestazione si è svolta sabato scorso, mentre questo pomeriggio, martedì 25 giugno, ce ne sarà una seconda. A Latina, infatti, si svolgerà la manifestazione chiamata dalla comunità indiana dopo la morte di Satnam Singh, il bracciante che aveva perso un braccio dopo un incidente sul lavoro ed è stato scaricato dal datore di lavoro senza soccorsi.
Ad aderire alla mobilitazione di questo pomeriggio saranno anche Usb, Confederazione Cobas e i sindacati confederali Cisl e Uil.

La comunità indiana in piazza a Latina dopo la morte di Satnam Singh e contro lo sfruttamento

«Abbiamo deciso di aderire a questa manifestazione perché è importante che sia stata promossa dalla comunità indiana – spiega ai nostri microfoni Stefano De Angelis, responsabile Lavoro Agricolo di Usb – Noi riteniamo che le lotte debbano essere proposte e portate avanti soprattutto dagli stessi lavoratori stranieri».
Il lavoro che Usb svolge con loro va proprio nella direzione di offrire gli strumenti per una presa di coscienza e un protagonismo nelle lotte per migliorare le proprie condizioni di lavoro, a partire dall’alfabetizzazione sindacale e contrattuale, necessaria a comprendere i propri diritti.

La morte di Satnam Singh arriva in un territorio, l’Agro Pontino, in cui è nota la condizione di sfruttamento che vivono i braccianti stranieri. Sul tema ci sono state inchieste, sia della magistratura che giornalistiche, e anche un film, “The Harvest” di Andrea Paco Mariani.
Nessuno, quindi, può dire che non si sapesse dello sfruttamento. «Dal 2018 abbiamo un tavolo contro il caporalato, ma non ha prodotto nulla», lamenta De Angelis.
Le ragioni del perpetrarsi dello sfruttamento, quindi, sono molteplici. Da un lato una narrazione mediatica di episodi che non mettono mai al centro l’origine dello sfruttamento, che non è il caporale per strada, ma le aziende agricole e, ancora più a monte, la grande distribuzione organizzata, l’agroindustria e le centrali di trasformazione.

Vi sono poi alcuni meccanismi della Pac, la Politica Agricola Comunitaria, che premiano con lauti fondi le imprese più grandi, privando i piccoli produttori di finanziamenti, costringendoli quindi a competere sui costi destinati alla forza lavoro.
A proposito di finanziamenti, vi sono anche incongruità che li svincolano dal rispetto delle leggi e dei contratti agricoli stessi. «Se io produco 10 tonnellate di pomodori – esemplifica il sindacalista – e ho appena due dipendenti, evidentemente c’è qualcosa che non quadra». È in questo modo, dunque, che si alimenta il lavoro nero e lo sfruttamento.

Ancora a monte c’è la legislazione sui permessi di soggiorno, che espone i lavoratori stranieri a una fortissima ricattabilità, quindi alla necessità di accettare qualunque condizione. «È per questo che noi siamo contrari alla Bossi-Fini e all’assurdo vincolo tra lavoro e permesso di soggiorno», sottolinea De Angelis.
Se il sistema produttivo genera sfruttamento (secondo le indagini di Asl e Ispettorato del Lavoro il 70% delle aziende del settore presenta irregolarità) e le istituzioni non intervengono, ecco che il protagonismo dei braccianti stranieri diventa l’unica strada per cambiare le cose.

ASCOLTA L’INTERVISTA A STEFANO DE ANGELIS: