Il risultato era scontato, ma le proporzioni erano inattese. La Crimea chiede di essere annessa alla Russia, ricucendo uno strappo, che durava da più da 5 decenni. Il Parlamento russo discuterà la richiesta il 21 e, intanto, monta la tensione.

Da ieri sera è ufficiale: la Crimea vuole tornare a far parte della Russia. Il referendum, organizzato in soli dieci giorni, ha dato un esito incontrovertibile e, a quanto pare, non viziato da brogli. L’81% degli aventi diritto si è recato ai seggi e il 96% di questi ha votato per l’annessione. Il Parlamento della penisola ha subito fatto richiesta formale d’annessione al Cremlino e il Rublo, la divisa russa, è da oggi moneta ufficiale anche in Crimea.

La consultazione, che da più parti si era cercato di fermare, è un dato di fatto non eludibile. La palla  passa adesso a Mosca che, con tutta probabilità, annetterà la penisola, nella seduta della Duma in programma il 21 marzo, proprio per discutere di annessioni territoriali.

Dall‘Unione Europea e dagli Stati Uniti si è gridato all’illegittimità del referendum e all’attentato all’integrità territoriale ucraina per mano russa, ma il risultato è lì a testimoniare che la situazione ha già superato ogni condanna internazionale. E non sembrano aver sortito l’effetto voluto le minacce di sanzioni agitate dalla “sponda ovest” del mondo, pur con importanti distinguo.

La Germania non vuole la rottura, in virtù del fattore economico rappresentato non solo dal gas russo, ma anche dagli investimenti arrivati dalla Russia, economia in espansione e con una forte liquidità a disposizione, in un momento di crisi per l’economia europea” dice ai nostri microfoni Pietro Rizzi, redattore dell’East Journal. “L’obiettivo è continuare a dialogare e il massimo esponente di questa idea è Angela Merkel” continua Rizzi.

Nel frattempo la Russia è stata estromessa dal G8, che con ogni probabilità non si terrà più a Sochi, che è tornato a essere G7.

Diversa, invece la posizione degli Stati Uniti. “Obama e Kerry hanno a più riprese fatto capire che si è oltrepassato il limite. Non è un segreto che ci sia una portaerei americana che vaga nel Mar Nero. Questo non significa che sia in programma un’operazione militare, ma “mostrare i muscoli” è una cosa che gli Stati Uniti sanno fare ed è un’opzione che potrebbe essere scelta.” conclude Rizzi.