Colorato e fumettistico, ironico e sagace, il tono della conversazione pubblica online vive di tentativi creativi di attirare l’attenzione gli uni degli altri. Colpire i propri follower, si sa, è diventato un po’ un tiro al bersaglio in cui il tabellone si sposta continuamente, la pistola fa spesso cilecca, e la mano ci trema. Il punto è che oggi, sui social, siamo un po’ tutti produttori di contenuti coscienti di avere degli spettatori. Come acchiappare una reazione positiva? Come essere interessanti?

L’attività sui social diventa prestazione

Coscienti o meno, stiamo facendo una prestazione. Non importa che sia buona o cattiva. L’uso dei social network è la messa in mostra della versione patinata di “noi” che ci piace credere di poter essere anche nella vita reale. Non è un fatto solo estetico. Per intendersi, non è solo una pagina di selfie e foto al tramonto sul lago a renderci impegnati in prestazioni di questo tipo. Ogni traccia che lasciamo sui social è un posizionamento più o meno evidente della versione di noi che siamo e vogliamo essere online. Quel like alla pagina del WWF con i panda carini, la condivisione di quel post satirico della Lucarelli. L’attività sui social diventa prestazione che non hai fatto in tempo a finire di leggere, il “seguito” a Repubblica, che regolarmente sorvoli quando ti appare sulla home.

La nostra presenza sui social tende ad essere fatta da una serie di segnali che vogliamo dare agli altri. Una volontà di posizionamento e di narrazione di sé che esprime il bisogno tutto umano di esserci e di non scomparire nella marea di informazioni e di persone che gonfia, gonfia e gonfia e non lascia spazio per sentirsi comunque presenti, e affannati in mezzo alle onde.

La paura di sentirsi invisibili suona un po’ paradossale nell’era dell’iper-trasparenza e iper-condivisione. Ma quando tutti o quasi siamo in scena, il palco sembra troppo affollato perché si possa sentire la battuta di ognuno. E non c’è tempo per parlare uno per volta. Il chiasso delle nostre vite online è il chiacchiericcio, la debacle e la shitstorm quotidiana di un discorso pubblico frammentato, diviso, assordante, in cui non si riesce a sentire la voce di nessuno.

Le performance che quotidianamente insceniamo online sono uno spettacolo pubblico, rumoroso e inquinante. Il posizionamento continuo, di ognuno, su tutte le questioni più virali e rilevanti del momento non ha nulla di politico nel vero senso della parola. Non c’è discorso che possa nascere, dialogo che possa crescere da scambi di battute infuocati, condivisioni senza riflessione, “mi piace” che sono solo simbolici.

Se la nostra presenza online è ridotta unicamente a un voler simboleggiare un’appartenenza ideologica, o anche apolitica e disprezzante, a un fare il tifo per una parte o per un’altra o per nessuno, è la politica vera a morire di stenti. La partecipazione online rischia di essere un surrogato scadente della politica vera, del restare informati su quello che conta, di potersi posizionare con cognizione di causa, di battersi per quello che vale.

Fino al prossimo post.

Serena Convertino