La notizia arrivata ieri pomeriggio ha fatto tirare un sospiro di sollievo a quante e quanti in questi mesi si sono battuti e preoccupati per Ilaria Salis, l’attivista antifascista detenuta in Ungheria con l’accusa di aver aggredito dei militanti neonazisti.
Finalmente il tribunale ungherese di seconda istanza ha concesso gli arresti domiciliari a Salis, dopo 16 mesi di detenzione in attesa di giudizio trascorse in condizioni durissime e degradanti.
Come si è arrivati ai domiciliari per Ilaria Salis e cosa succederà ora
Perché finalmente il tribunale ungherese ha concesso i domiciliari a Ilaria Salis e come si è arrivati a questo primo risultato? A rispondere a queste domande è uno dei legali della famiglia salis, l’avvocato Eugenio Losco, intervistato da Radio Onda d’Urto.
«Era stato presentato un appello per i domiciliari dopo il sesto rigetto – spiega Losco – e la corte d’appello del tribunale di seconda istanza ha accolto le richieste avanzate dalla difesa concedendo finalmente una misura meno afflittiva come quella degli arresti domiciliari».
I giudici, questa volta, hanno fatto valutazioni diverse rispetto ai loro colleghi di primo grado, in particolare per ciò che concerne il rischio di fuga. Quest’ultimo è stato considerato “affievolito” rispetto al passato, nonostante Ilaria Salis abbia sempre affermato di non volersi sottrarre al giudizio. Inoltre ha contribuito la buona condotta della detenuta.
Per la concessione dei domiciliari, però, sussistono dei vincoli che dovranno essere rispettati. In particolare, Salis dovrà indossare un braccialetto elettronico e, per uscire dal carcere, dovrà essere versata una cauzione ingente, pari a 16mila fiorini che sono circa 40mila euro.
«A mio parere e di tutto il collegio difensivo – aggiunge l’avvocato – i domiciliari sono comunque una misura che non trova giustificazione dopo i 16 mesi di detenzione che è stata costretta a subire nelle condizioni più volte denunciate. Anche il deposito cauzionale è una misura molto severa che non trova giustificazione in questa fase processuale».
In altre parole, pur concedendo i domiciliari a Ilaria Salis, si conferma l’iniquità del procedimento giudiziario ungherese in generale e la mancanza del riconoscimento dei diritti fondamentali.
Con gli arresti domiciliari, quindi, Ilaria Salis ha vinto una prima battaglia, se non altro perché esce dall’incubo delle condizioni detentive. Però, sottolinea Losco, «non è finita perché il processo deve ancora iniziare e già si segnala iniquo per come viene condotto, esemplificato dall’immagine delle catene e del guinzaglio in aula. Quindi la battaglia deve continuare ed è una battaglia che Ilaria non vuole condurre solo per sè, ma per tutte le persone che sono sottoposte a procedimenti simili, perché in Ungheria e in tutta Europa vengano riconosciuti i diritti fondamentali delle persone sottoposte a procedimenti penali».
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