Dalla Campania, in particolare ancora a Santa Maria Capua a Vetere, alla Lombardia, dalle Marche all’Emilia-Romagna tornano i contagi nelle carceri italiane. I focolai stanno progredendo rapidamente, al punto che il conteggio effettuato dall’associazione Antigone e diffuso oggi parla di oltre 1500 detenuti contagiati.
Il problema, però, riguarda anche l’alto numero di positivi anche tra gli agenti di polizia penitenziaria e, qualora la quota di agenti in quarantena dovesse essere consistente, il rischio è che il sistema carcerario stesso collassi.

Carcere, sono già più di 1500 i detenuti contagiati

Sono oltre 1.500 i detenuti positivi al Covid-19 negli istituti di pena italiani (per la precisione 1.532). Erano meno di 200 all’inizio di dicembre. A loro si aggiungono i quasi 1.500 operatori (agenti e funzionari), anch’essi contagiati dal coronavirus. La variante Omicron ha portato ad un’impennata dei contagi anche in carcere, dove la popolazione detenuta non ha ancora ricevuto nella sua interezza la terza dose del vaccino (va ricordato che i detenuti, alla partenza della campagna vaccinale furono inseriti tra le categorie prioritarie) e la cui situazione di salute, in molti casi, non è ottimale a causa di patologie pregresse.

A questo quadro si aggiungono le informazioni che arrivano da alcuni istituti, dove pare sia saltata la possibilità di separere positivi e negativi per l’assenza di spazi dove spostare proprio chi risulta contagiato. Inoltre, in altri casi, pare che le direzioni abbiano smesso di fornire mascherine nuove ai reclusi. Aumenta la preoccupazione, anche a fronte di un numero di persone ristrette che, dopo il calo registrato allo scoppio della pandemia, ha ripreso lentamente a salire fino a tornare stabilmente sopra i 54.000 reclusi, a fronte di una capienza ufficiale di 50.000 posti (ma quella effettiva sappiamo essere inferiore per via di reparti chiusi o in ristrutturazione).

«Noi registriamo di nuovo una situazione di allarme da parte dei famigliari, arrivano notizie a volte spaventose ma infondate – racconta ai nostri microfoni Alessio Scandurra di Antigone – Si sta rimettendo in moto quel meccanismo di ansia e di mancanza di informazioni che generano grandi tensioni».
In altre parole, il clima si avvicina a quello che si respirava a marzo 2020, quando si sono registrate rivolte in carcere in diversi istituti di pena proprio a causa delle preoccupazioni che stavano montando nella popolazione carceraria.

Ancora una volta il problema rimane quello del sovraffollamento e della mancanza di spazi, che rende poco efficaci anche le misure di contrasto alla pandemia, come l’utilizzo delle mascherine.
È per questo che Antigone torna a chiedere misure urgenti e riforme, tra cui la possibilità per i detenuti di telefonare ai famigliari una volta al giorno anziché una volta a settimana, in modo da rasserenare gli animi.
In ogni caso, il problema di fondo resta quello del sovraffollamento, per il quale non sembrano ancora esserci all’orizzonte soluzioni concrete.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ALESSIO SCANDURRA:

Santa Maria Capua Vetere, un focolaio e l’inizio del processo

Il carcere che ha fatto più parlare di sè negli ultimi due anni è quello di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) dove il 6 aprile 2020 avvenne un pestaggio che, grazie alla diffusione delle immagini da parte della stampa, è sfociato in un processo che vede imputate 108 persone, 50 delle quali accusate di tortura.
Ieri si è svolta la seconda udienza preliminare, dedicata ancora alla costituzione di parte civile da parte di detenuti ed associazioni.
«Sono circa 80 i detenuti che hanno chiesto di costituirsi parte civile e non è escluso che se ne aggiungano altri», ha raccontato ai nostri microfoni Eusapia D’Anzi, avvocata di “Il Carcere Possibile onlus” associazione che si è costituita parte civile al processo.

Proprio prima dell’avvio del processo, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere si era registrato un focolaio di oltre 60 casi Covid e gli isolamenti e le quarantene sembrano impossibili da attuare.
Tornando al processo, a differenza di altri casi giudiziari in cui la risonanza mediatica è stata poca e gli esiti non sempre favorevoli, la grande sensibilizzazione che c’è stata sulla vicenda fa sperare che si tratti di un processo pilota, anche se non tutti i responsabili delle violenze sono stati identificati e imputati.

ASCOLTA L’INTERVISTA A EUSABIA D’ANZI: