Dal 22 maggio la produzione e la commercializzazione della cannabis light è ufficialmente legale, secondo la circolare del Ministero dell’Agricoltura. Luca Marola, ideatore di Easy Joint, ci spiega le caratteristiche del prodotto, gli effetti economici e il progetto politico verso la legalizzazione di tutta la canapa che ci sta dietro.

È del 22 maggio la notizia che il Ministero dell’Agricoltura si è finalmente espresso sulle regole che andranno a regimentare la produzione e commercio della cannabis light, la cui legge era già entrata in vigore nel gennaio del 2017. A più di un anno da quella data, la cannabis light è ufficialmente legale e questo è un fatto che non mancherà di avere ripercussioni sia sull’economia italiana, ed in particolare sul settore agricolo, che sull’atteggiamento dello Stato rispetto alla possibilità di legalizzare e regolamentare l’uso ed il commercio di qualsiasi tipo di cannabis.

Luca Marola, ideatore di Easy Joint, ossia l’azienda pioniera della cannabis light che ha iniziato la sua attività proprio un anno fa, quando questa non aveva uno status riconosciuto dalla legge, spiega ai nostri microfoni quali sono le caratteristiche dell’infiorescenza di canapa, affinché sia un prodotto legale. “Il THC deve essere inferiore allo 0,2% e tutte le piante devono provenire dall’elenco europeo delle varietà coltivabili: tutte le erbe di importazione Svizzera, ad esempio, non sono ammesse, perché non sono in quell’elenco e spesso sono ibridi di varietà non previste in quell’elenco”.
Altro tratto fondamentale della cannabis light è che il principio attivo prevalente, il cannabidiolo o CBD, che non ha effetti psicotropi ma mio-rilassanti, cioè di distensione della muscolatura. Al CBD non ci sono limiti europei nella percentuale di concentrazione.

Anche alle menti più conservatrici, la cannabis light dovrebbe sembrare un prodotto dagli effetti innocui, eppure l’iter legislativo che ha portato questa settimana al riconoscimento della sua liceità ha incontrato non pochi ostacoli, come Marola racconta. “EasyJoint è nata un anno fa proprio come gesto di disobbedienza civile ad una lettura della legge di gennaio che non consentiva la commercializzazione e la produzione di fiori di canapa. Volevamo segnalare la follia di questa interpretazione ai media, al legislatore ed all’opinione pubblica”. Raggiunto il traguardo della legalizzazione dei fiori di canapa con il limite di THC al 0,2%, la tappa successiva sarà quella di rendere più elastici questi limiti per evitare che minimi sforamenti mettano nei guai gli agricoltori.

La spinta economica al settore agricolo che deriverà dalla produzione e dalla vendita della cannabis light è forse l’aspetto che rende la sua legalizzazione un fatto ancora più rilevante per l’Italia. “A Bologna – annuncia Marola – la settimana scorsa Confagricoltura, CIA, Confagri e le sigle del settore canapicolo hanno sottoscritto un codice di autodisciplina per la produzione della cannabis light, quindi abbiamo gia interessato i sindacati degli agricoltori che hanno notato lo sviluppo economico di un settore inesistente fino ad unno fa. Infatti, si possono recuparare terreni abbandonati e far fronte al deprezzamento che anno dopo anno colpisce i prodotti agricoli”.

Dal punto di vista politico e legislativo, invece, legalizzare la cannabis light potrebbe essere il primo passo per superare l’atteggiamento proibizionista dello Stato italiano. Secondo Marola, infatti, sarà questa l’occasione per avere un quadro di come potrebbe essere l’economia e la società italiana se ogni tipo di cannabis, quindi anche la marjuana, fosse legale in Italia. Un passo che, tra l’altro, allinerebbe lo Stato italiano alla politica in merito alle droghe legere sempre più accolta nel mondo occidentale.

Marta Campa

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