L’ipotesi di andare ad elezioni anticipate è fuori dal tavolo, così come quella di trovare una maggioranza che voti l’accordo raggiunto con l’Ue. A questo punto resta aperta la strada del No Deal, o più probabilmente quella di un nuovo referendum. Ne abbiamo parlato con lo storico britannico e giornalista David Broder
Nell’arco di 48 ore il Parlamento britannico ha regalato a Theresa May la più grande sconfitta della storia dello Uk e le ha accordato la fiducia. Un risultato che in tempi normali sembrerebbe assurdo, ma questi non sono tempi normali per il Regno Unito, a cui restano appena due mesi per riuscire a trovare un modo di portare a buon fine la brexit, un risultato che sembra essere sempre più distante.
Theresa May stava rimandando il voto di martedì sera dall’11 dicembre, nel tentativo di riuscire a conquistare una maggioranza. Un tentativo che chiaramente non è andato a buon fine, portando a una sconfitta da record nella storia britannica, con 432 voti contrari e solo 202 a favore. Prima di May, a detenere il record per quasi un secolo era stato il governo di minoranza di Ramsay MacDonald’s, che nel 1924 aveva perso una votazione con una distanza di 166 voti.
Una sconfitta politica che ha superato ogni previsione, per quanto la bocciatura in sé fosse considerata abbastanza prevedibile. Proprio in virtù della portata di questa sconfitta, Theresa May ha aperto alla possibilità di depositare una mozione di sfiducia, immediatamente richiesta dal leader labour Jeremy Corbyn. Il voto si è tenuto ieri sera, e ha visto la Camera dei Comuni accordare ancora una volta la fiducia alla leadership di Theresa May. La votazione si è infatti conclusa con 325 voti contrari contro 306 a favore, rendendo ancora una volta determinante il voto del Dup, il partito unionista irlandese che in seguito alle elezioni del 2017 è entrato in maggioranza permettendo a May di formare il governo. Il Dup ha in tutto 10 parlamentari, e martedì sera aveva votato contro l’accordo con l’Ue.
Dei diversi scenari che potrebbero portare o meno alla Brexit entro il termine stabilito del 29 marzo quindi, alcuni possono essere tolti dal tavolo e altri aggiunti. È quasi certo a questo punto che nel breve periodo non si avranno elezioni anticipate o rimpasti di governo. Altrettanto chiaramente è da escludere l’ipotesi che il Parlamento possa approvare l’accordo raggiunto da May e Ue. Resta quindi aperta l’opzione del No Deal, ovvero che il 29 marzo il Regno Unito esca dall’Ue senza aver raggiunto un accordo, ma questa è una soluzione ritenuta pericolosa da Theresa May e caldamente osteggiata da buona parte dei parlamentari, in primo luogo dal Labour. Senza accordo, la Gran Bretagna non dovrebbe più seguire le regole europee in termini di commercio, ma quelle stabilite dal WTO. Secondo lo storico britannico e giornalista david Broder, l’ipotesi più probabile è quella di un nuovo referendum. “Al momento è molto difficile dire cosa potrà succedere – commenta infatti Broder – però direi che la soluzione più facile è quella di rimandare tutto il processo. C’è stata una decisione della Corte Europea per dire che il Regno Unito ha il diritto di sospendere la decisione di uscire, il problema è che non si può sospendere l’art. 50 solo come tattica di negoziazione, sarebbe necessario dimostrare che abbiamo cambiato idea e che non vogliamo più uscire, o almeno che ci sarà un nuovo referendum. Però per me sembra sempre più probabile che la soluzione sarà un secondo referendum. Non ci sono i numeri parlamentari, non permettono facilmente nuove elezioni generali e in ogni caso questo rischierebbe di produrre un nuovo stallo anche perché non è detto che l’Unione Europea sarebbe disposta ad avviare nuove trattative con un nuovo governo. Quindi per me la soluzione più facile è un nuovo referendum, e l’alternativa sarebbe l’accordo di May o rimanere dentro l’UE e abbandonare tutto il progetto della brexit”.
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