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Un saggio pop così l’autrice ha definito questo racconto delle e per le donne partendo dalla cattolica figura di Maria di Nazareth. Una riflessione che parte da lontano, come la Madre della cristianità è stata vissuta e raccontata per i secoli fino al nostro. Il libro è scritto per tutte le donne che la Murgia conosce: “mia madre, le mie amiche e le loro figlie, la mia panettiera, la mia maestra e la mia postina”, così dichiara nell’introduzione. Il risultato è una somma di esperienze personali o che riguardano l’attualità politica e sociale, spesso filtrate dalla pungente ironia, segnate sia dall’influenza culturale e dagli studi teologici che dalla fede religiosa popolare, forse più appasionata e genuina e decisamente meno ufficiale.

“non è stato il cattolicesimo a inventare la prassi della subalternità della donna nel matrimonio, né la concezione di inferiorità che la fonda; anzi è evidente che quella concezione esisteva da secoli. Tuttavia i padri della Chiesa potevano scegliere il potenziale destabilizzante dell’annuncio cristiano e della figura per modificare alla radice la situazione di ingiustizia che quel sistema imponeva e continua ad imporre … se la Chiesa non ha inventato la subordinazione tra i sessi, ha scelto di legittimarla spiritualmente”

Classica domanda introduttiva. Il tuo libro parla ed è dedicato alle donne, da un punto di vista cristiano/cattolico: come la Chiesa ha influito sulla “subordinazione tra i sessi”. Vorrei che spiegassi perché questo argomento ti sta tanto a cuore, e perché lo affronti in questo modo.
“Sono i fatti e la politica ad aver ravvivato l’interesse per le questioni di genere, termine forse improprio in questo caso. Mi ha sconvolto non tanto sapere che i politici, che dovrebbero essere esempio di morale comune, avessero invece comportamenti deviati nel privato. Semmai mi ha sconcertato la reazione della gente, secondo cui quei comportamenti fossero accettati e normalizzati. Gli uomini provavano invidia e le donne colpevolizzavano le donne, anziché discutere il sistema o l’impianto culturale che rende le donne merce d’acquisto. Ho visto che qualcosa cambiava nella manifestazione del 13 marzo, quando sono scese in piazza donne che mai l’avevo fatto. Ho pensato che fosse il momento buono per parlare di certi argomenti e di non dare certe conquiste per acquisite. Però con un passo in più: rispetto agli anni ’70 quando le femministe si ponevano contro la Chiesa patriarcale, oggi tante donne cattoliche possono mantenere la loro dignità senza discutere la loro fede. Io ho parlato da femminista e da fedele, credo questo punto di vista interno mancasse soprattutto rivolto alle donne comuni. Volevo rivolgermi a mia madre, alle sue amiche, alla mia panettiera, alle donne con cui ho a che fare tutti i giorni, che sono più debitrici alla parrocchia che non a Hollywood”.

Le protagoniste del tuo libro sono le donne, ma come è evidente dal titolo Maria è il centro. Tu sostiene come ci sia una distanza tra la figura e il ruolo della Madonna raccontata nei Vangeli, che tu definisci “anticonformista e sovversiva”, e quella della Chiesa, limitata ad un ruolo di madre, affettuosa e dolorosa, una donna di casa e poco più.
“Bisogna tenere in mente che i Vangeli rappresentano una narrazione di Cristo, dove Maria è un elemento collaterale. I Vangeli sono scritti, e la gente ha dovuto sentire l’ulteriore narrazione dei sacerdoti, che raccontavano quello che volevano. Il punto quindi non è quanto Maria abbia influito sui modelli femminili, ma quanto la falsa narrazione su Maria li abbia determinati. In qualche modo è un atto di giustizia nei confronti delle donne e di Maria, che per secoli è stata raccontata come la società voleva la donna e la Chiesa si è resa disponibile a confermare”.

Andiamo alle conclusioni, in penultima pagina scrivi: “se la Chiesa non ha inventato la subordinazione tra i sessi, ha scelto di legittimarla spiritualmente”, cosa deve cambiare nella Chiesa perché questa legittimazione abbia fine? Devono esserci cambiamenti clamorosi come il sacerdozio femminile, o altro?
“Non ho mai avuto vocazione sacerdotale, ma non escludo una donna possa averla. I Valdesi ci stanno danno grandi lezioni da questo punto di vista, non come cedimento ai costumi del mondo di oggi, ma come rispetto evangelico di un pensiero inclusivo che era proprio di Gesù. La Chiesa deve mettere in discussione il sistema gerarchica, che di per sé è strutturalmente violento perché richiede un dominatore e un dominato, un master e uno slave, per usare un termine che appartiene all’idea di dominio sessuale. Qualsiasi sacerdote ti dirà che è un servizio, come quello che ha portato Cristo alla morte. Ma la maggior parte degli emuli di Cristo non sono su questa linea, ma il senso del dominio di potere. Per cambiare narrazione, occorre cambino voci narranti: un uomo non può raccontare Maria diversa da come c’è sempre stata propinata, è necessario che siano le donne a riaprire la narrazione sulle donne. Che poi è utile anche per gli uomini, ad ogni modello femminile corrisponde un racconto speculare maschile, che è altrettanto coercitivo. Se qualcuno è vittima, qualcuno deve essere carnefice, se qualcuno definisce sesso debole, si carica della responsabilità di esser forte, di non cedere mai, di non piangere mai, di non stancarsi mai. Poi ci meravigliamo se gli uomini dimenticano un bimbo nell’auto, credo sia frutto anche dell’educazione all’onnipotenza maschile”.

Questi temi rientrano nel discorso degli altri cambiamenti che la Chiesa si trova ad affrontare: aborto, omosessuali, anticoncezionali. Rientrano nel medesimo ambito e cosa succederà alla Chiesa se non si apre anche a queste posizioni che sono richieste anche dal suo interno?
“No, assolutamente. La questione femminile è specifica che non rientra in una logica di diritti delle minoranze. Innanzitutto perché le donne non sono una minoranza, anzi nelle Chiesa sono nettamente maggioranza. Omosessualità e aborto sono argomenti talmente complessi da meritare trattazione a parte. Anche se l’aborto ha a che fare con la questione femminile, in particolare sulla gestione del corpo in autonomia. Non ne ho parlato in Ave Mary, perché anche questa gerarchia cattolica italiana, così tradizionalista e retrograda, ha la volontà di mettere in discussione la legge 194. E la società civile non ammetterebbe un passo indietro”.

Credo sia interessante anche sapere a chi ti sei rivolta. Come sai tra i nostri ascoltatori i cattolici non sono tanti, “Ave Mary” sta avendo un ottimo successo di pubblico, leggendolo è evidente come sia un libro per tutti, cattolici e non.
“Dappertutto i non cattolici abbondano. Un conto è esser battezzati, un conto è riconoscersi nel sistema di valori per cui secondo la Chiesa si è cattolici. il cardinale Ruini infatti con il suo progetto culturale dice che se la Chiesa non può più esser forza spirituale di questo paese, allora può esser attrazione culturale. Così la Chiesa passa a marcatore identitario di radici cristiane. Sono definizioni che mischiano temi nazionalisti a religiosi, fior di saggisti hanno già detto abbastanza su una questione perniciosa e vecchia: anche Mussolini distingueva bene le cose dicendosi cattolico e anti cristiano. Credo che Ave Mary si rivolga soprattutto a chi ritiene di non avere più conti aperti con la fede. L’influenza culturale della Chiesa è fortissima, e offre strumenti e chiavi del mondo a per tutti. Paradossalmente i non credenti sono i più esposti, ne subiscono l’influenza ma non possiedono i codici per decriptarla. ”

In ogni capitolo affronti un tema diverso: passando dalla morte, fino l’immagine della e bellezza delle donne o alla disputa teologica su dio donna. Per sceglierne uno come esempio è interessante come racconti le discussioni sul ruolo peculiare della donna come madre piangente e dolorosa.
“Il libro parte con il tema scomodo della morte, e ho proseguito parlando di dolora. Ho cominciato duro, ma su questi temi si gioca gran parte del nostro immaginario, particolarmente quello femminile. Recentemente ho letto un pezzo di Victor Hugo, che scrive come Dio abbia predisposto per l’uomo un trono e per la donna un altare sacrificale. Anche una mente raffinata come la sua ha radicata la concezione per cui la donna è predisposta alla missione del sacrificio, all’uomo spetta la gloria. Sono due narrazioni diverse sulla morte e il dolore: gli uomini muoiono, un tempo erano decantati come eroi epici e cavallereschi, oggi come Raimondo Vianello padre della patria; quando invece muoiono le donne è perché le ha ammazzate un uomo, così dicono tutte le narrazioni pubbliche. La morte femminile diventa così occasione per raccontare la gelosia o la pazzia di chi l’ha uccisa. Raimondo muore di vecchiaia, Sandra, pur vecchia e malata, muore di dolore per l’assenza del marito. Stessa cosa accadde per Fellini e la Masina. Morire stroncati dal dolore è malattia specifica femminile, che ricorda storie induiste in cui le donne finivano sulla pira incendiaria perché non potevano sopravvivere al consorte/eroe. Un’idea sacrificale che domina anche cose che non hanno a che fare con la religione, credo invece parta proprio dalla religione, dalla rappresentazione unica della morte di Maria, mater dolorosa ai piedi della corte del figlio. Maria per il cattolicesimo è diversamente viva.

Ricordo che l’altra volta che ci siamo sentiti avevi parlato di un saggio pop: tutti i capitoli si aprono con storie che hai vissuto o sentito in prima persona, e il tono è informale. Questa scelta di stile e approccio deriva dal tuo modo personale di vivere questi temi e/o perché un libro di teologia sarebbe stato di nicchia, non aperto ad un pubblico vasto e certamente più noioso?
“Sono vere entrambe le cose. Da un lato io non sono un’accademica, mi muovo per istinto e bisogno personale. Non sarebbe stato possibile per me una ricerca sistematica, c’è poco e rimane nei circoletti che non cambiano la vita spirituale e sociale delle persone. Dall’altro lato è vero che ho lavorato moltissimo di cesello perché questo libro arrivasse a quanta più gente normale possibile, che non acquisterebbe mai un libro di teologia. La sfida è vinta perché il libro ha una diffusione imprevista anche per la casa editrice. Ho molti ritorni di lettori, nessuno si lamenta che è difficile o che l’ha abbandonato a metà. Ma credo il merito non sia tanto del linguaggio divulgativo, ma l’urgenza dei temi per cui un si legge d’estate un libro che non si sfoglierebbe nemmeno in attesa dal dentista.