Francesco Malossi muore per il tumore ai polmoni causato dall’amianto. La Filt-Cgil chiede il riconoscimento ufficiale dell’esposizione all’Ogr e il riconoscimento pensionistico per i lavoratori.
Un altro morto d’amianto all’Officina Grandi Riparazioni di Bologna, l’azienda che si occupa di manutenzione di treni. Appena un mese fa era morto per il mesotelioma pleurico, un tumore dei polmoni causato dall’esposizione all’amianto, Luciano Bencivenni, tecnico della manutenzione, mentre la stessa sorte è toccata ora al capo tecnico in pensione Francesco Malossi.
Una storia che nasce negli anni ’80, come spiega ai nostri microfoni Alberto Ballotti, segretario della Filt-Cgil di Bologna. “In quegli anni tra i 1000 e i 1500 lavoratori furono esposti alla sostanza cancerogena, utilizzata allora per la coibentazione dei treni che serviva a garantire una maggiore efficienza degli impianti di riscaldamento”.
Il problema, allora, fu sollevato dalle rsu dei lavoratori, che diedero vita ad una lunga battaglia, che nelle aule dei tribunali ha visto anche qualche vittoria, con la condanna di alcuni dirigenti delle Ferrovie per omesso controllo sulla sicurezza.
“Il problema – spiega Ballotti – è che manca il riconoscimento pubblico dell’esposizione, perché l’azienda per lunghi anni l’ha negata e solo ultimamente ha fornito qualche dato frammentario e poco convincente”. In assenza di questo riconoscimento pubblico da parte dell’Inail, quindi, i pochi lavoratori ancora in attività oggi (circa una ventina) non possono accedere agli indennizzi pensionistici riservati alle persone esposte all’amianto.
Intanto la strage continua. Si parla di 200 persone già morte per il mesotelioma pleurico, alcune delle quali non erano nemmeno lavoratori. L’amianto, infatti, è particolarmente insidioso: basta una singola fibra per contrarre la malattia, che spesso si presenta anche vent’anni dopo l’esposizione. “All’Ogr si lavorava l’amianto all’aperto – racconta il segretario della Filt – perciò ad essere esposti furono anche
lavoratori non a diretto contatto con la sostanza”. E anche i familiari, che potevano inalare una fibra d’amianto semplicemente maneggiando una tuta da lavare.